di Giancristiano Desiderio
Tra Maurizio Sarri che insulta e Roberto Mancini che strumentalizza io sto con il primo – almeno è verace – ma soprattutto non sto con i giornalisti che invece di mandare entrambi a mietere il grano si ergono a giudici-sacerdoti del politicamente corretto e s’impancano sul tribunale che il nostro tempo ha edificato alla dea stupidità. Guardiamo le cose per ciò che sono: un banale e volgare litigio diventa un capo di accusa portato all’attenzione dell’opinione pubblica italiana che ama discutere del nulla gonfiato. La partita è finita ma i due allenatori si insultano – perché gli insulti son stati reciproci – così dopo la conclusione di Napoli-Inter inizia un’altra partita in cui la violenza verbale, che fino a quel momento era stata limitata nel perimetro del campo, salta fuori con tutta la sua forza mascherata da morale ed è usata dai giornalisti per indurre l’allenatore del Napoli al pentimento e farlo sentire una fantozziana merda umana in diretta televisiva. Il giornalismo italiano ha un fiuto tutto speciale per salire sul carro del conformismo. Il suo pezzo migliore, in omaggio alla logica coraggiosissima del tutti contro uno, non è l’inchiesta ma l’inquisizione. Il giornalismo italiano è mosso da nobilissimi sentimenti: è a favore delle margherite di campo, per la pace nel mondo e contro la guerra ma è ferocissimo nel fare la guerra alle parole. Se si vuole essere accettati in questo club del sentimento mite e corretto che vuole che il mondo intero sia bello e razionale come la noia di una calcolatrice bisogna sottostare alla dittatura immorale delle belle parole che servono a far sentire migliori i peggiori.
L’altra sera al San Paolo è andata in scena una stupidaggine della quale voi stessi, in altre condizioni, sarete stati involontari protagonisti tante volte quando nel chiuso della vostra automobile avete dato dello stronzo o del ricchione o del figlio di puttana a quel tale che facendo un sorpasso azzardato vi stava per finire addosso. Un insulto a mo’ di sfogo per lo scampato pericolo. Vogliamo accusare di omofobia tutti coloro che si sfogano? E vogliamo definire omofobi e processare sulla pubblica piazza anche i gay che con ironia – ce n’è ancora qua e là – danno del frocio all’amico o all’amica – frocia – o a se stessi? Come si vede si sta discutendo del nulla ossia di casi comuni e ordinari che godono della libertà che gli spetta per condurre la vita secondo gradimento. Tuttavia, una partita di calcio tra le prime della classe non è vita ordinaria ma straordinaria e bisogna saper stare in campo. E proprio qui è il punto. Il gioco – il gioco del calcio che prima di essere uno sport è proprio un gioco e non è nella piena disposizione dell’umano – è stato banalizzato e trasformato in discorso della domenica ma è un’esperienza molto più seria e decisiva di quanto non sospettino i custodi della pubblica opinione calcistica. Una partita di calcio è la simulazione di una battaglia. Le squadre che si fronteggiano sono come due eserciti in guerra. La violenza è parte del gioco e il gioco con la sua esistenza la regolamenta. Chi crede di poter espellere dal campo di gioco l’elemento violento non sa cosa sia la virtù calcistica: il riconoscimento reciproco dell’avversario. Il calcio è un gioco che esalta l’avversario nel momento stesso in cui lo offende, lo osteggia, lo contrasta. Il calcio è la più alta espressione di pluralismo e di garanzia di libertà. La soppressione irrazionale della violenza (verbale) è la nascita sicura di una cultura totalitaria che genera idiozie e violenze reali. Le parole di Sarri a Mancini sono volgari ma l’idea dell’allenatore dell’Inter di andare in televisione e di svergognare Sarri chiedendone di fatto l’allontanamento dagli stadi e l’espulsione dal gioco in nome di una immorale etica dell’inesistente correttezza è un calcolo spietato e ancora più volgare che si fonda su una certezza: la dittatura dell’opinione pubblica messa in piedi dal Circo Barnum del giornalismo. Il capriccio elevato a cultura: il pallone è mio e tu non giochi.
La dittatura dell’opinione pubblica è quanto di più triste ci sia in circolazione. Il segreto della sua forza sta nella mediocrità che è la merce più comune nell’epoca delle comunicazioni di massa. Il giornalismo migliore è quello che ancora riesce a conservare e stimolare un po’ di spirito critico, di senso del ridicolo e senso delle proporzioni che dovrebbe essere indizio di verità (cose degne di nota le ho lette solo su Dagospia con Giancarlo Dotto e su il Napolista e naturalmente il pezzo di Billy Nuzzolillo). Tra le parolacce di Sarri e il moralismo ottuso del conformismo di massa il giornalismo serio non ha dubbi: dovrebbe essere una cultura critica e ironica per riportare le cose alla loro giusta dimensione. Invece, ho sentito dire e ho letto che finalmente Mancini ha avuto il coraggio di squarciare il velo dell’omertà denunciando un sentimento omofobo e sessista, un gesto che deve essere di esempio per i più giovani e per gli insegnanti. In questo modo non si educano uomini ma si allevano mostri e si armano le mani e le menti dei cretini futuri gazzettieri.