di Billy Nuzzolillo
Lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano nel libro Splendori e miserie del gioco del calcio scrisse: “A metà degli anni Ottanta, quando la squadra del Napoli cominciò a giocare il miglior calcio d’Italia grazie al magico influsso di Maradona, il pubblico del nord del paese rispose sguainando le vecchie armi del disprezzo. I napoletani, usurpatori della gloria proibita, stavano sottraendo i loro trofei ai potenti di sempre e loro castigarono l’insolenza di quella gentaglia intrusa venuta dal Sud. Dalle tribune degli stadi di Milano o Torino gli striscioni insultavano: Napoletani, benvenuti in Italia, o facevano sfoggio di crudeltà: Vesuvio, pensaci tu. E con più forza che mai risuonarono i cantici figli della paura e nipoti del razzismo”.
Secondo Galeano, grazie a Maradona il sud oscuro riuscì a umiliare il nord luminoso che lo disprezzava: “Coppa dopo coppa, negli stadi italiani ed europei la squadra del Napoli vinceva, e ogni gol era una profanazione dell’ordine costituito e una rivincita sulla storia”.
Queste considerazioni, scritte – è bene sottolinearlo – non dal solito napoletano piagnone e complottista ma da una delle più autorevoli personalità della letteratura latinoamericana, mi sono tornate alle mente mentre assistevo alla gogna mediatica messa in atto dopo le dichiarazioni rilasciate dall’allenatore dell’Inter, Roberto Mancini.
Di colpo mi è sembrato di vivere in un paese diverso, molto più british di quanto immaginassi. E così la clamorosa e deprecabile gaffe di Maurizio Sarri (che in un impeto d’ira ha insultato Mancini definendolo frocio e finocchio) è diventata il pretesto per avviare una campagna mediatica il cui fine ultimo, è inutile girarci attorno, è quello di destabilizzare l’ambiente calcistico napoletano e soprattutto indebolirlo attraverso il crescente clima di ostilità che inevitabilmente accompagnerà il Napoli da qui al termine del campionato.
E probabilmente era proprio questo l’intento velenoso del Mancio quando ha irritualmente deciso di rivelare davanti alle telecamere le frasi ingiuriose rivoltegli da Sarri. Anzi, il fatto che non abbia nemmeno accolto le successive scuse del tecnico partenopeo finisce inevitabilmente per rafforzare questa ipotesi, soprattutto se si tiene conto di un illuminante precedente. Nel 2000, infatti, commentando il caso nato dopo l’incontro tra Lazio e Arsenal, con le accuse di razzismo rivolte da Vieira al laziale Mihajlovic (che lo aveva chiamato negro di merda), nella veste di vice allenatore della Lazio affermò: “Sinisa e Vieira sono due ragazzi intelligenti. Credo che possano superare le tensioni e finirla. Nel corso di una partita l’agonismo esasperato può portare a momenti di tensione e di grande nervosismo. Credo che anche qualche insulto ci possa stare. L’importante è che tutto finisca lì”.
E c’è un altro precedente, risalente alla scorsa estate, che fa comprendere come Mancini non sia affatto uno sprovveduto nell’utilizzo dei media: a giugno annunciò attraverso un comunicato e un post su Facebook la fine del rapporto con la moglie Federica Morelli. Un comunicato che spiazzò letteralmente la signora Mancini, che a sua volta fu costretta a diramare un comunicato per esprimere il suo disagio “per il mezzo mediatico prescelto, che rischia di attribuire dimensioni pubbliche ad una vicenda che sarebbe bene affrontare in un ambito strettamente familiare e personale, nel rispetto della riservatezza e dei sentimenti di tutti coloro che, loro malgrado, ne verranno emotivamente toccati”.
Inoltre, sempre il Mancio a proposito del tecnico di Figline Valdarno ieri sera ha anche detto: “Uno che si comporta così in Inghilterra non vedrebbe più il campo”. Concetto, poi, ripreso e rafforzato anche da alcuni commentatori presenti negli studi della Rai. Nessuno tra questi novelli fustigatori di costumi ha però fatto notare le profondi differenze esistenti tra i due paesi: in Inghilterra un presidente della federcalcio che avesse chiamato mangiabanane un calciatore di colore sarebbe stato immediatamente costretto alle dimissioni e i cori e gli striscioni razzisti non sarebbero stati considerati semplici sfottò (definizione di Mancini dopo un Inter-Napoli) o banalmente derubricati in semplice discriminazione territoriale.
E, sempre a proposito di differenze tra l’Italia e l’Inghileterra, non va sottaciuta nemmeno la storia del calciatore Simone Farina, che con la sua denuncia fece scoppiare lo scandalo del calcio scommesse del 2011 e che in conseguenza di ciò fu costretto a ritirarsi. Farina, che aveva la sola colpa di aver denunciato ciò gli altri non ebbero il coraggio di denunciare, fu poi chiamato a lavorare in Inghilterra dall’Aston Villa, che lo assunse come community coach per insegnare ai calciatori del settore giovanile le regole di lealtà sportiva.
La strumentale furia dei novelli fustigatori italioti ha poi toccato livelli grotteschi quando, riferendosi ad una frase pronunciata da Sarri (“Sono cose di campo e lì dovevano restare”), hanno lodato il gesto di Mancini perché ha rotto l’omertà che solitamente accompagna il mondo del calcio e lo hanno addirittura paragonato a Gasperini, che nei giorni scorsi ha coraggiosamente denunciato il cancro degli ultras che alberga nelle curve degli stadi italiani.
Peccato, però, che il clamoroso atto d’accusa del tecnico del Genoa non abbia generato la stessa levata di scudi e che Zinedine Zidane, ad esempio, non sia stato mai accusato d’omertà per non aver riferito davanti alle telecamere l’offesa ricevuta da Matarazzi sul rettangolo di gioco.
In pratica la solita doppia morale all’italiana dietro alla quale si nascondono enormi interessi imprenditoriali e calcistici, tant’è vero che Tuttosport ha aperto con il titolo “Siamo tutti Mancini” e la Gazzetta.it ha per lungo tempo cavalcato l’onda della possibile maxi-squalifica a Sarri, salvo poi clamorosamente rettificare la notizia perché mancava il presupposto per l’applicabilità della maxi-sanzione a cui si faceva riferimento in quanto Mancini non si è mai dichiarato omosessuale…
Insomma, il tecnico dell’Inter ha dato il via a una velenosa campagna mediatica tendente a destabilizzare e indebolire una squadra che, dopo un quarto di secolo, rischia seriamente di usurpare la gloria proibita o comunque mettere a rischio il raggiungimento del secondo posto che – ricordiamolo – rappresenta l’obiettivo minimo dei nerazzurri per non incorrere nella scure del fair play finanziario.