Ninetto-Otello: Che cos’è la verità? Quello che penso io de me o quello che pensa la gente?
Totò-Iago: Cosa senti dentro di te? Concentrati bene. Cosa senti?
Ninetto-Otello: Sì, sì. Si sente qualcosa che c’è!
Totò-Iago: E quella è la verità. Ma… Silenzio. Non bisogna nominarla. Perché appena la nomini non c’è più.
(Capriccio all’italiana, registi vari, 4° episodio: Che cosa sono le nuvole, di Pier Paolo Pasolini, 1967)
di Amerigo Ciervo
Ho trascorso le mie vacanze facendo una cosa che i docenti, da un po’ di anni a questa parte, sommersi da una lunga serie di pratiche burocratiche, adornate da fantasiose e, a volte, stomachevoli formule criptiche (ma quanto gli passano, al mese, di stipendio, a questi furibondi cercatori del nulla, annidatisi nelle stanze del ministero che fu di De Sanctis, di Croce e di Gentile?), riescono a fare sempre meno. Ho trascorso le mie vacanze studiando. Che cosa ho studiato? Due libri: l’ultimo di Giancristiano Desiderio, La verità, forse (Liberilibri, Macerata, 2015) e Gesù Cristo e il Cristianesimo di Piero Martinetti (Castelvecchi, Roma, 2013). E, come qualche volta accade, si è palesato il “miracolo” di poter incrociare due testi, apparentemente lontanissimi, quando, come nel nostro caso, essi nascono dalla stessa radice.
Desiderio, i lettori di Sanniopress lo conoscono benissimo. Vi esercita – un tempo, mi pare, con maggiore frequenza – le sue raffinatissime armi di scrittura, passando, sempre con la medesima, ironica levità (che è tratto determinante degli scrittori veri), dalla politica alla storia, dall’osservazione puntuta di certi vizi contemporanei alla filosofia. Viceversa Martinetti è, probabilmente, agli stessi lettori meno noto. Piemontese, professore di filosofia teoretica e morale, è stato un interprete originale dell’idealismo post-kantiano. Ma la cosa che a me qui preme maggiormente ricordare è che Martinetti fu uno dei quindici docenti universitari (sui circa millecinquecento che, agli inizi degli anni trenta, costituivano la struttura portante dell’università italiana) che si rifiutarono di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo.
L’aspetto, a prima vista più divertente, ma che, in realtà, ci porta direttamente nel cuore del problema, è che l’idea di imporre, a tutti i “professori di ruolo e ai professori incaricati nei Regi istituti d’istruzione superiore”, la formula del giuramento al regime fu di un altro filosofo, Balbino Giuliano, anch’egli, come Martinetti, docente di Etica, oltre che, s’intende, ministro dell’Educazione nazionale. Chi, dei due filosofi, Giuliano e Martinetti, ha “posseduto” la verità? Il primo, che impone a tutti i docenti di giurare “di esercitare l’ufficio di insegnante e adempire tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria e al Regime Fascista”? o il secondo, Martinetti, che rifiuta il giuramento – perdendo ovviamente la cattedra – dopo aver affermato che, “col giuramento che mi è richiesto verrei a smentire tutta la mia vita”? Se ho ben capito (“Le leggi dovrebbero essere non degli ordini ma dei divieti”), Desiderio non avrebbe nessun dubbio nel darmi la sua risposta, essendo chiaro che il suo concetto di verità non si risolve in una mera pratica accademica, tutta tesa a stabilire il criterio di valutazione tra la verità e la menzogna, ma “una più umana concezione della verità come storia che, al di là delle incomprensioni, consente di intenderci su cose essenziali come la vita e la morte, la libertà e la dipendenza, l’amore e l’odio, gli affari e la giustizia, la tolleranza e il conflitto”. Le tesi di Desiderio si corroborano, capitolo dopo capitolo, con un affascinante attraversamento degli snodi più significativi della filosofia occidentale, con approdo finale, ovviamente, nel pensiero di Benedetto Croce che filosofa – parafraso, con il permesso di Giancristiano – “non attraverso scuole e libri ma per necessità e dolore”.
Ora accade che la storia della filosofia occidentale conduca la parola-concetto “verità” in una sorta di contraddizione di fondo da cui, probabilmente, mai si riuscirà ad uscire. Il significato del termine greco aletheia è ciò che non deve essere nascosto, quindi ciò che si deve disvelare. Se, però, è vero quanto Desiderio afferma (La verità è storia, nient’altro che storia), ci troveremo di fronte a una sorta di paradossale, continuo, eterno e, per questo, inafferrabile, disvelamento. L’immagine che mi viene in mente è quella – mi si perdoni l’ardire, ma chi mi conosce sa che, per me, non c’è distanza alcuna tra “cultura alta” e “cultura popolare” e lo stesso Desiderio sa bene come il suo amato Croce abbia dedicato libri seducenti alla cultura popolare napoletana – delle celeberrima Cammesella, la canzone che Melbero e Stellato, nella seconda metà dell’ottocento composero, ispirandosi, come da prassi consolidata, a canti popolari, in cui si racconta di uno “spogliarello” sempre più progressivamente audace ma che però non arriverà mai a conclusione: “disvelata” una cammesella-verità, ecco apparirne subito un’altra e così via.
Ma dicevo più sopra degli incroci. Il problema della “verità”, così come lo pone Desiderio in rapporto alle “scuole filosofiche”, lo collegherei al problema “cristianesimo”, così come è posto da Martinetti che, nel libro che ho ricordato, distingue un cristianesimo ecclesiastico (quello delle grandi comunità religiose che si richiamano a Gesù Cristo, che hanno un “sistema” di dogmi, un’organizzazione, un clero e il cui denominatore comune è che “si anatemizzano a vicenda”) da un cristianesimo spirituale per il quale le stratificazioni dogmatiche e leggendarie, i miracoli e le guarigioni sono simboli del tutto inessenziali per la purezza del messaggio. Per Martinetti, Gesù è un filosofo, maestro di vita, un uomo che affronta con coraggio il suo destino e che trova, attraverso l’amore per Dio e per il prossimo alla luce della ragione, la vera sapienza, la comunione con l’assoluto. Sarà utile ricordare che, nel 1926, il IV congresso filosofico nazionale, presieduto da Martinetti e incentrato su tematiche religiose fu interrotto da un provvedimento fascista. Il vecchio anticlericale Mussolini già si preparava a “fare pace”, come diceva mia nonna, con il “cristianesimo ecclesiastico”. Sarà ovviamente giusto ricordare altresì che molti docenti aderirono al giuramento segretamente seguendo il consiglio di Togliatti: mantenendo la cattedra, avrebbero potuto svolgere, come ebbe a dichiarare il celebre latinista Concetto Marchesi, un’opera più utile per il partito e per l’ antifascismo.
Desiderio ha scritto libri forse più accattivanti (quelli, deliziosi, per esempio, dedicati al rapporto tra filosofia e calcio), ma questo è, a mio giudizio, il suo più impegnativo, anche e più della stessa biografia crociana. In un certo senso quello in cui porta a termine una fase di lavoro estremamente feconda e di profondo impegno intellettuale. Ora si tratta di aprirne un’altra. E poiché so bene quanto provi disturbo per il termine “neoliberismo”, io non lo utilizzerò, ma gli faccio sapere qual è, oggi, per me, la verità o, se preferisce, un aspetto di essa su cui sto cercando, per “necessità e dolore” di riflettere. E’ diventata insopportabile l’ingiustizia che colpisce miliardi di uomini, di donne e di bambini. L’inequità planetaria, direbbe papa Francesco nella sua enciclica. E noto quanto la parola “inequità” risulti assente, oltre che nella quasi totalità dei progetti delle forze politiche, sconosciuta anche al mio computer che me la corregge con la linea rossa. Ma io, testardo, la lascio. Sicché forse non sarebbe male una rilettura della Settima lettera di Platone o della marxiana undicesima tesi su Feuerbach (I filosofi hanno fino adesso interpretato il mondo, ora però si tratta di cambiarlo). Platone e Marx considerando sorpassati, si potrebbe provare con il vangelo di Matteo, magari letto con gli occhi di Martinetti o di Pasolini.