di Antonio Medici
“Accoppatura di fagioli”. Accoppatura di fagioli, come riporta Il Fatto Quotidiano del 24 novembre, sarebbe l’epiteto offensivo con cui un esponente del Governo in carica, al cui cospetto, a suo dire, il demonio vacillerebbe di paura, definisce un dirigente dell’ospedale civile di Benevento. L’impavido capo ufficio sarebbe reo di ostracizzare nell’ambiente di lavoro la compagna dell’uomo che spaventa il demonio. La donna se ne sarebbe lamentata col sottosegretario, usando toni dolci “voglio fare qualche esperienza nuova, tesò” e stuzzicanti “per poggiare il mio culo per tre giorni sulla stessa sedia”. “Tesoro” e “culo”, insomma, come chiari ed indubbiamente efficaci gli strumenti di pressione. E difatti il sottosegretario spaventademonio, ribattezziamolo simpaticamente così, evidentemente sensibile alle coccole e alle tentazioni, è soggiogato al punto da dirsi disposto a scatenare una “guerra nucleare” per le di lei infantili lamentele.
Vien da credere che un demonio astuto, travestito da diavoletta, profferendo le fatali parole “tesò, accoppatura di patata, questo sei”, in un battibaleno farebbe polpette, anzi crocchè, dello spavaldo guerriero degli inferi e dell’atomo.
Torniamo, però, alla “accoppatura di fagioli” per tentarne una declinazione lessical-gastronomico-politica; non pare essere un piatto, di cui in effetti non vi è traccia nei ricettari storici, né un insulto, non avendone mai udito in alcun ambiente. Eppure è usato per offendere e screditare.
Possiamo supporre, in prima approssimazione, che lo spaventademonio volesse alludere agli effetti gassosi di una copiosa ingestione dell’altrimenti prezioso legume. Sicché il dirigente persecutore sarebbe paragonato ad un fetido gas, urticante le soavi narici della bella donna, presumibilmente abituate ad effluvi di elitarie fragranze londinesi di cui, altrettanto presumibilmente, si asperge lo spaventademonio. La guerra nucleare da questi minacciata, allora, sarebbe degna delle migliori esibizioni di Joseph Pujol, meglio noto come il petomane.
In un’altra possibile interpretazione l’insulto legumoso dovrebbe intendersi riferito alla povertà dell’alimento; i legumi, si sa, sono la carne dei poveri. L’inviso dirigente, ebbene, sarebbe un miserabile, come appunto miserabili sono o, forse meglio, erano considerati i fagioli sulle tavole dei benestanti.
Un decisivo argomento, di ordine sistematico, a sostegno di questa seconda interpretazione può rinvenirsi in un’altra espressione usata dallo spaventademonio, il quale, a proposito di quelle che percepisce come provocazioni del dirigente e del possibile scontro finale, dice: “mi invitano a carne e maccheroni”. Qui dobbiamo osservare che il profumato uomo denuncia la propria vetustà, manifestandosi ancorato a schemi e regimi alimentari fuori moda. Oggigiorno la borghesia illuminata e chic è tutta vegan, light e animal free. Carne e maccheroni, è un piatto desueto, pesante, malefico, cancerogeno al pari della pervasività del potere politico negli uffici pubblici, nelle direzioni sanitarie. Carne e maccheroni allude all’abboffata che poi è quella che gli spaventademonio ininterrottamente, strafottentemente, impunemente praticano in ogni ufficio in cui, piuttosto che organizzare servizi, gestiscono potere secondo i propri interessi ed il proprio piacimento.
Carne e maccheroni è la grettezza che tracima dai cappucci, che insudicia le grisaglie, che appesta col suo fetore di rancido gli ambienti degli uffici e la stessa pelle degli spaventademonio, a ben vedere lercia e unta. Carne e maccheroni si accompagna con vini acidi come il sangue di chi minaccia guerre atomiche per quisquilie d’ufficio.
Noi avremmo detto: tesò, stiamo calmi, mettiamo il culo sulla sedia di un buon ristorante e ordiniamo fagioli e piedirosso. Poi, a casa, ci facciamo un crocchè.