Il Calore fa paura. E’ vivo. Si muove. S’ingrossa a vista d’occhio. Scorre impetuoso. Travolge tutto. E taglia in due Benevento: la città di sopra, antica, è salva, la città di sotto, moderna, è sempre a rischio. Il fiume Calore, nella cui pancia finisce anche l’altro fiume di Benevento, il Sabato, s’ingrossa e s’innalza non perché piova sulla città ma perché piove sulla campagna, i monti, i boschi e le gole del Fortore e la pioggia e i mille rivoli accrescono quello che è il principale affluente del Calore: il fiume Tammaro. Il pericolo per le zone alluvionate di Benevento – Pantano, Ponticelli, Santa Clementina, via Cosimo Nuzzolo, Ponte Valentino – nasce dall’incontro tra questi due grandi fiumi che si incontrano e si scontrano con le loro ricche acque proprio a Ponte Valentino nell’area industriale. E’ qui, prima di entrare in città, che il Calore potenzia le sue acque e le sue correnti fino a diventare troppo grande per il suo stesso letto.
Ieri sera il Ponte Vanvitelli, che collega la parte bassa con la parte alta, il rione Ferrovia con il centro storico, era quasi sommerso dal Calore. Proprio il ponte che porta il nome del nobile architetto del Settecento dà subito la misura della grandezza e della forza del fiume: quel ponte misura ben più di venti metri di altezza e ora – mentre scriviamo – le sue arcate sono quasi del tutto scomparse. Fu questo, del resto, il motivo che nella terribile alluvione del 2 ottobre 1949 provocò la distruzione del ponte originario che fu poi costruito in modo più snello per consentire un migliore passaggio delle acque. Il ponte resiste alle ondate impetuose mentre il fiume continua a crescere davanti agli occhi impotenti dei beneventani.
Gli abitanti di Pantano, di Santa Clementina, di Ponticelli e di Ponte Valentino sono stati avvertiti, invitati e in alcuni casi obbligati a lasciare le case per trovare soccorso e rifugio altrove. Le scuole, chiuse dal giorno dell’alluvione, qualcuno dice che resteranno chiuse per tutta la settimana. Alcune, finite sottacqua e sotto il fango, non potranno più riaprire, almeno per quest’anno. Forse, ancora non ci si rende pienamente conto di cosa sia effettivamente accaduto a Benevento. E cosa ancora potrebbe accadere. Il sindaco Pepe, prima nella giornata di domenica e poi ieri pomeriggio, ha messo le mani avanti: “Lasciate le case”. Non c’è altra soluzione al momento e così sarà fino a quando non si provvederà a curare gli argini del Calore e non la si smetterà di costruire in zone che nel momento stesso della fondazione di Benevento furono lasciate al fiume. Non si possono offendere per troppo tempo la storia e la geografia. Arriva un momento in cui gli errori si pagano. Lo stesso sindaco, in una drammatica conferenza stampa, aprendo le braccia ha detto: “Non posso di certo spostare la città”. La tragedia è pure questa: si è anche costruito dove non si doveva. La notte tra il 14 e il 15 ottobre – la notte dello straripamento del Calore e dell’alluvione – non poche famiglie avvertendo a pelle il pericolo lasciarono le abitazioni per dormire altrove. Stanotte una parte di Benevento dormirà in automobile o alla Cittadella della Caritas o al Tennis Club. Una parte della città si è già spostata. Il Calore fa paura.
tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 20 ottobre 2015