L’altra sera passeggiando per le vie di Sant’Agata dei Goti mi sono reso conto della verità o, più modestamente, del buon senso della chiusa della Storia di Sant’Agata dei Goti nell’età liberale. Nelle pagine finali di quel testo evidenziavo uno strano paradosso: il centro storico santagatese, uno dei più belli d’Italia, era più grande ieri di quanto non lo sia oggi. Come è possibile? Perché ieri aveva una grande piazza che oggi non ha più: Piazza Castello. Sorgeva tra il castello ducale e via Duomo poi diventata via Roma che oggi è erroneamente considerata l’ingresso del centro storico. In luogo di quella grande piazza c’è la villa comunale – Boschetto – che è malmessa e impraticabile, quasi una sorta di non-luogo. A capo della villa c’è il monumento ai Caduti che un tempo era visibile a distanza di centinaia di metri all’imbocco del viale Vittorio Emanuele ma poi è stato coperto con abitazioni moderne a ridosso di via Martorano. Chi riuscì a costruire il monumento ai Caduti – il podestà Francesco De Prisco la cui storia è narrata nel nuovo volume Storia di Sant’Agata dei Goti nel Ventennio fascista – voleva rendere giustamente un doveroso omaggio ai soldati italiani ed europei e collocò il monumento in un luogo strategico per renderlo visibile fin dal viale alberato. Oggi l’unico modo per ridare valore almeno urbanistico al monumento è quello di ripristinare Piazza Castello ossia far più grande Piazza Trieste e spostare il monumento ai Caduti al centro della grande area che farebbe respirare tutto il centro storico e la cittadina.
L’altra sera non c’era tanta gente ma c’era pur sempre un via vai di giovani, ragazzi, famiglie che rendeva vive le vie del centro. Vi era non poca gente di ogni risma anche fuori dalle vie del centro: dal Ponte a Piazza Mercato ora intitolata alla memoria di Tiziano Della Ratta. Chi usciva dal centro cercava refrigerio ma non lo trovava se non rinunciando al borgo di tufo che assorbe calore di giorno e lo rilascia di notte. Le famiglie che vagavano come anime in pena avevano visibilmente bisogno di una piazza che le accogliesse senza allontanarle dal centro storico ma, anzi, facendo loro apprezzare la bellezza della cittadina. Se ci fosse stata, Piazza Castello avrebbe svolto perfettamente la sua funzione.
Però, succede – ed è tutt’altro che una rarità – che a Sant’Agata dei Goti ci siano molte più famiglie e visitatori e turisti di quante ce ne siano in una accaldata serata di luglio. Succede che in via Roma si faccia fatica a passeggiare comodamente e che i viandanti cerchino, senza trovarlo, un luogo più ampio dove potersi fermare, riposare, sorseggiare una bevanda per poi riprendere il cammino. E’ proprio in questi momenti che si può toccare con mano l’assenza di una grande piazza – che sia almeno tre volte la pur bella Piazza Umberto (quella con Alfonso che vi benedice tutti) – capace di alleggerire il via vai e dare a turisti e agli stessi santagatesi ristoro, frescura e respiro con la gioia di godere della bellezza del luogo.
Eppure, son sogni. La storiografia ha un doppio valore: conoscitivo e civile. Né l’uno né l’altro tocca la politica meridionale che vive in un mondo isolato in cui si insegue il finanziamento di turno e si contratta la spartizione della torta tra professionisti ridotti al vettovagliamento. La cultura turistica è argomento da convegno e da trombone e non da interesse civile. Lavorare con serietà con il turismo e la cultura vuol pur dire avere uno straccio di idea del passato, del presente e del futuro della città ma questi sono sogni di mezza estate mentre ciò che conta è la liquidazione, la gara d’appalto, la somma urgenza e altre abitudini che regolano la vita amministrativa meridionale dai tempi del marchese di Roccaverdina. Sant’Agata dei Goti, con tutta la prosopopea sul vaso di Assteas e il borgo più bello d’Italia e le bandiere arancioni, turchesi e a pois, non ha la benché minima capacità di concepire un luogo urbano in funzione della città. L’ultimo che lo fece fu Francesco De Prisco. Può non piacere, ma è semplicemente la verità (questa volta senza alcuna modestia che è fuor di luogo). Così l’assenza della piazza si avverte maggiormente giacché la Piazza non è solo un’area urbana ma anche un luogo dell’anima che si prende cura di sé.