Mettetela come volete, ma il pasticcio sulla scuola l’ha fatto tutto la sinistra. Il presidente del Consiglio, che ha la colpa grave di far finta di capire tutto di scuola mentre non ci capisce nulla, scarica la responsabilità del pastrocchio sulla minoranza interna del Pd e su i sindacati dicendo che la mancata assunzione dei 100mila precari e passa sarebbe colpa loro. A loro volta, la minoranza del Pd e il sindacato – soprattutto quest’ultimo che con l’applicazione dell’autonomia scolastica sa di perdere terreno – scaricano sul governo ogni responsabilità anche se la colpa del governo è quella di aver provato a concretizzare la riforma platonica che porta un nome importante a sinistra: Berlinguer. Sia la riforma sia la controriforma nascono e muoiono a sinistra. La destra ha solo un ruolo di comparsa e serve da parafulmine con espressioni di questo tenore cariche di disprezzo: “La Moratti ha asservito la scuola agli industriali”, “Quella berlusconiana della Gelmini ha distrutto la scuola”. Insensatezze. La scuola è sempre stato un affare della sinistra più comunista con il benestare della Democrazia cristiana a cui interessava assumere i bidelli nel Mezzogiorno. Il risultato è che in Italia per trovare la scuola l’ultima cosa che dovete fare è entrare in una scuola.
I provvedimenti del governo Renzi non sono un’invenzione estemporanea del chiacchierone fiorentino ma la prosecuzione dell’uso di uno strumento pensato e voluto dalla stessa sinistra per provare a salvare il sistema napoleonico della scuola italiana. Ma allora perché la sinistra classica, che è tanto presente nella scuola attraverso il sindacato, non ci sta? E’ una questione di torrone: siccome non lo mena più lei, allora, protesta, mentre se a menare il torrone fosse stata lei – la sinistra della ditta postcomunista – tutto sarebbe andato via liscio come l’olio. Ma la cosa da mettere in chiaro è che né le proposte né le proteste hanno a che fare con la scuola. In gioco vi sono solo assunzioni e organizzazione del lavoro che nessuno peraltro sa come organizzare visto che fatta la legge bisogna poi passare ai decreti di attuazione. Neanche l’accusa più pensosa che viene scagliata contro il governo, ossia quella che vorrebbe la scuola ridotta a un’azienda, è valida giacché è proprio la sinistra a considerare e usare da sempre la scuola come una casamatta per sfornare consenso e un’azienda di Stato per allevare impiegatucci.
Non è un caso che quando si parla di riformare la scuola si consideri sempre e solo il lavoro degli insegnanti e si escogitino le cose più insensate affinché siano preparati, aggiornati, moderni. Ma per quanto la scuola la facciano gli insegnanti, è altrettanto vero che non la fanno solo gli insegnanti. La scuola è il rapporto che c’è tra chi insegna e chi impara. E se si vuole davvero incidere nella scuola bisogna invertire i termini della questione e chiedersi: cosa si può fare affinché i giovani e le famiglie siano bendisposte verso la scuola? E’ questo il lato che invece è sempre lasciato in ombra. In cattedra ci potrebbe essere anche Aristotele, ma se non si è bendisposti verso la scuola neanche il maestro di color che sanno ne ricaverebbe granché. Ma perché giovani e famiglie – non tutti, è evidente – sono maldisposti verso la scuola? Perché il rapporto tra studenti e insegnanti è concepito – ed è nei fatti – giuridico e istituzionale mentre dovrebbe essere educativo, culturale e morale. Alle famiglie, purtroppo, non interessa – non a tutte, è evidente – che i loro figli sappiano e apprendano e imparino ad apprendere ma interessa che prendano il diploma. E quando la presa del diploma causa dei problemi – voti, valutazione, la truffa dei crediti, l’esame cosiddetto di stato – il più delle volte la scuola si ritrova in tribunali con giudici, avvocati, legali, periti.
La scuola è un’istituzione sociale che nasce per mettere insieme adulti e giovani, insegnanti e studenti e si fonda prima di tutto su un libero rapporto formativo e culturale tra insegnanti e giovani. La scuola è nella sua più intima essenza un dono: è vita donata ai giovani. Si può un dono statizzare? Purtroppo, è stato fatto proprio questo (sia pure in tempi diversi e con altri intenti che fino ad una certa epoca hanno assolto egregiamente il lavoro). Così il dono ha perso valore fino ad essere dimenticato – una sorta di oblio del dono – e la scuola è diventata un luogo legale di procedure per produrre titoli di studio mascherati da abilità competenti da usare negli uffici pubblici, nel mondo accademico, a sua volta snaturato, e in ciò che resta delle professioni e del mercato. La scuola è senza scuola. Potrebbe tranquillamente essere sostituita da corsi o addirittura da teleconferenze o lezioni-video registrate per addestrare – proprio così: addestrare – gli alunni a superare un esame di stato in cui è promosso oltre il 99 per cento, praticamente tutti. Chi in Italia vuole riformare la scuola non deve parlare agli insegnanti e ai sindacati ma prima di tutto alle famiglie e dire loro: svalutiamo il valore legale del titolo di studio e restituiamo gli studi agli studi, la scuola alla scuola, la cultura alla cultura. Sia i giovani, sia le famiglie, sia gli insegnanti avrebbero tutto da guadagnare e per l’Italia sarebbe un toccasana perché la fine del valore legale del titolo di studio sarebbe qualcosa di più di un esame di stato, sarebbe un esame di coscienza collettivo. Un periodico e inevitabile esercizio per ogni comunità che aspiri ad essere una nazione decente e non una ridicola nazione docente.