Leo Longanesi sosteneva che la bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: “Ho famiglia”. Senz’altro la scritta è veritiera per le elezioni regionali campane: sono tanti i figli e le figlie di papà che sono state elette ma anche i figli e le figlie di papà che sono state bocciate. La famiglia viene prima di tutto. Così i Cesaro e gli Zinzi a destra ci dicono che il seggio si può ereditare come una farmacia e gli Amato e i Fiola a sinistra ci ribadiscono che le elezioni politiche riescono meglio nel nome del padre. L’arte politica ha i suoi figli d’arte e, del resto, lo stesso Stefano Caldoro che, per dirla con Mauro Calise, “ha perso, ma con onore”, è figlio di Antonio Caldoro che fu sottosegretario e deputato socialista.
Comunque, onore al merito. Per essere eletti bisogna esser votati e i figli di papà di voti ne hanno raccolti tanti, un po’ per conquiste loro e un bel po’ perché, come Giancarlo Giannini nel film di Nanni Loy, hanno potuto dire: “Mi manda Picone”. Armando Cesaro, figlio di quell’ineffabile Luigi che sembra uscito da un film di Totò e Peppino oltre che da Forza Italia, ha avuto la bellezza di ben più di 22mila voti, mentre Giampiero Zinzi, figlio di Mimì che era in Regione quando ancora esisteva un organo di controllo chiamato Coreco, ha sfiorato i 20mila suffragi. Risultati così non s’inventano, si ereditano. Ma non sempre è così. A volte il figlio supera il padre. E’ il caso di Mario Casillo, figlio del “grande capo” Franco – definizione di Assunta Tartaglione -, che gira con un foglio Excel in tasca con riferimenti e comuni: Casillo ha preso più preferenze di Cesaro ma, soprattutto, in nome di un patto d’acciaio con Vincenzo De Luca ha fatto il bello e il cattivo tempo sulle primarie vincendo, in pratica, su Matteo Renzi. Dunque, oltre che figlio di papà è anche figlio di buona donna.
Le donne, dopotutto e soprattutto con la doppia preferenza di genere, hanno la loro importanza. Se poi discendono da magnanimi lombi politici e imprenditoriali come Carmela Fiola ed Enza Amato allora hanno più chance di successo. Anche se non sempre va così. E’ il caso, ad esempio, di Giulia Abbate, figlia del compianto Michele – ex magistrato e deputato sannita della Margherita che fece piangere Clemente Mastella alle elezioni politiche del 1996 -, che dopo esser subentrata a Umberto Del Basso De Caro in consiglio regionale avrebbe voluto esser eletta invece ha corso vanamente perché proprio l’ex deputato e avvocato di Craxi e ora sottosegretario di Renzi ha puntato 17mila preferenze su un altro cavallo: il giovane Erasmo Mortaruolo detto Mino figlio di Domenico Mortaruolo ex sindaco di Torrecuso ed ex presidente della comunità montana del Taburno ed ex cavalluccio di razza della politica locale. Oggi Erasmo da Torrecuso con quella faccia un po’ così e quell’espressione un po’ così che hanno i bimbi che sanno di averla fatta grossa è l’unico rappresentante del Sannio in consiglio regionale dal momento che – per fare un nome a caso – Sandra Lonardo Mastella pur avendo raccolto ben 10mila voti rimarrà a Ceppaloni. Come a dire che il familismo politico campano non ama più i Mastella. La famiglia dà, la famiglia toglie. Ne sanno qualcosa Federico Conte e Ettore Zecchino: figli di due ex ministri socialisti e democristiani – Carmelo e Ortensio – che hanno provato a seguire le orme paterne senza fortuna. Per chiudere con Longanesi: “In piedi e seduti”.
tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 3 giugno 2015