Per dirlo con una battuta: meglio Mino Mortaruolo che Mino Izzo. Una battuta è solo una battuta – non me ne voglia, dunque, Mino Izzo ma già so che me ne vorrà, pazienza – però si porta dietro qualcosa di vero. Al povero Mortaruolo – si fa per dire, ora sarà un onorevole ben stipendiato – gliene hanno dette e gliene stanno dicendo di tutti i colori e, per la verità, ho iniziato io chiamandolo Signor Nessuno ma con un filo di ironia che non guasta mai in questi tempi intossicati dal fanatismo. La sua colpa – oltre ad essere più figo e più bello di Raffaele Del Vecchio che studia e trama da sindaco di Benevento – è quella di essere stato eletto per grazia ricevuta e di esser diventato l’unico rappresentante del Sannio in consiglio regionale. E giù critiche: il Sannio è orfano di rappresentanti, non c’è nessuno alla Regione. Ma, scusate, quando il Sannio ha potuto fare affidamento su due, tre o quattro consiglieri-statisti e qualche assessore è cambiato qualcosa? No. E allora? L’istituto regionale è – come disse autorevolmente Stefano Caldoro che pur è stato un buon presidente di regione – un’inutilità nociva e la presenza di un unico consigliere avrà almeno la conseguenza di limitare i danni.
La verità è che se il giovane Mino è arrivato a sedersi su uno scranno regionale qualche merito dovrà averlo. Si dice: “Ma quale merito, è stato eletto dai poteri forti beneventani”. Mamma mia quanta mitologia intorno a questi poteri forti – che poi alla fin fine hanno il nome e i cognomi di Umberto Del Basso De Caro che, giustamente, una volta con ironia e snobismo disse: “Mi odiano perché ho due cognomi” – è davvero retorica insopportabile. La verità, anche qui, sapete qual è? Che Umberto DBDC gestisce il potere come può e sa che il potere è cosa seria che ha a che fare con la sofferenza e la piaggeria dei più e se lo fa da tanto tempo e continuerà a farlo è perché l’altra sinistra beneventana, quella intellettualoide e progressista, è fatta di coglionazzi e anime belle a cui piace perdere per parlare male degli altri.
Il Mortaruolo, invece, anche evidentemente su ispirazione paterna – il padre dopotutto è pur sempre un cavalluccio di razza della politica locale – ha seguito la trafila della vecchia carriera di partito. Mino Mortaruolo è giovane ma anche vecchio, sta a sinistra ma è democristiano e sta a sinistra perché è democristiano. Mentre gli altri parlano al momento sbagliato lui tace sempre e così sta zitto anche al momento opportuno. Si è sorbito le riunioni, ha detto le cazzate giuste al momento giusto, avrà imparato a fare quello che da sempre fanno i politici meridionali di carriera ossia avrà imparato a mediare tra i bisogni umani e gli interessi di partito e alla fine, nella notte dei coltellini beneventani, è riuscito a spuntarla e a sputarla e si è ritrovato ad essere il candidato passabile e fidato. Erasmo Mortaruolo da Torrecuso non è Erasmo Desiderio da Rotterdam – ma non lo sono neanche io – e non è né sarà ricordato perché dirà e farà cose eclatanti, ma la sua affidabilità consiste proprio in questo e in tempi in cui tutti sanno tutto e tutti sono tutto forse essere un Signor Nessuno è un segno di ragionevolezza. Mentre tanti vogliono essere un mito, Mino è mite. Non denuncia (come De Luca), ma annuncia.
C’è della logica in questa follia. Lo voglio dire agli elettori che hanno votato a destra. Se è vero che Caldoro non ha vinto perché gli impresentabili e il clan degli avellinesi hanno fatto vincere De Luca, è anche vero che le candidature erano sbagliate, antiquate. Si potevano davvero votare Sandra Lonardo Mastella, Mino Izzo, Fernando Errico? Non sono candidati, sono un album di famiglia, ricordi del bel tempo che fu. Se proprio devo spendere una buona parola, beh, lo faccio volentieri per Sandra che dopo le ingiuste disavventure giudiziarie aveva diritto a una rivalsa. Tuttavia, non si può fare politica con il risentimento. Cosa che, però, devo notare, fanno tutti, a cominciare dal M5S: siamo un paese in cui il sentimento più diffuso è il risentimento. Evitiamo almeno di prendercela con un Mortaruolo.