di Antonio Medici
L’autoreferenzialità compiacente, alimentata dal proprio angusto sguardo in una sorta di circolo vizioso, è il maggior limite, talora invalicabile, che una persona, una comunità, un’impresa, un territorio può incontrare sulla via della propria crescita.
Quando si parla di provincialismo essenzialmente ci si riferisce a questo orientamento culturale, particolarmente pervasivo nelle piccole comunità insediate nelle aree meno fecondate dal flusso di persone e di merci.
Il Sannio ne è afflitto. Assume, quindi, un valore che trascende il mero aspetto di interesse mercantile l’iniziativa “Sannio InTour” del Consorzio Sannio Tutela Vini che ha investito, ossia speso soldi, per invitare ed ospitare una decina di giornalisti provenienti da Francia, Regno Unito, Polonia, Germania, Danimarca, Austria e Olanda, i quali, al termine di tre giorni di visite e tasting enoici, si sono incontrati con alcuni colleghi locali, esponendo le loro impressioni.
Senza remora credo si possa osservare che questo confronto, cui ha preso parte anche la Camera di Commercio, rappresentata dal suo Presidente Antonio Campese, abbia costituito uno dei momenti culturalmente più rilevanti registrati a Benevento negli ultimi anni. A ben vedere, difatti, il feedback di chi schiettamente ti osserva, ti descrive e ti racconta dopo averti osservato con gli occhi dell’estraneo è destinato a produrre cambiamenti ben maggiori di quelli che una conferenza di qualsivoglia esimio professore, insigne scrittore o illustre intellettuale può determinare.
Cosa ha visto l’occhio straniero, allora? Ha rilevato, innanzitutto, la frammentarietà delle nostre risorse. Un patrimonio storico, culturale, umano, enologico e gastronomico che non è ancora messo a sistema e fatica a proporsi come unico giacimento di ricchezze da visitare. Bellezze e bontà restano da scoprire, da isolare, da guadagnare. In questo senso, ha rilevato il giovane giornalista danese Thomas Bohl, un segnale importante è l’investimento che si sta portando avanti sul marchio Sannio (Falanghina del Sannio DOP, Sannio DOP) perché identifica un’intera area e chi compra vino sempre più intende comprare territorio.
Anche il giornalista tedesco Stefan Krimm ha rilevato il forte legame esistente e percepibile tra terra, storia, cultura, cibo e vino.
E’ stato interessante notare come all’estero, con esclusione ovviamente della Francia, l’esperienza del vino venga per lo più vissuta in modo astratto dal cibo, risultando quindi una vera piacevole scoperta e fattore di possibile successo commerciale la nostra abitudine e capacità di abbinamento cibo/vino, come ha sottolineato Alan Hood. Inevitabile non pensare subito al felice abbinamento Pizza & Falanghina e a tutti gli altri possibili binomi che si possono creare e mettere sul mercato come elementi di identificazione enogastronomica del territorio.
Da un punto di vista strettamente enologico i tasting hanno confermato un universale apprezzamento per la Falanghina la cui produzione, pur nelle evidenti e necessarie diversità di stile di vinificazione, è ritenuta nel complesso capace di rappresentare con franchezza il territorio. “Se compro una bottiglia di falanghina del Sannio so cosa aspettarmi” ha affermato al culmine di una lunga e lucidità di analisi lo smaliziato Rene van Heusden, olandese. Non altrettanto, purtroppo, è stato rilevato per l’Aglianico del Taburno fatto oggetto di diverse osservazioni la cui forse più rilevante è stata quella esposta da Ewa Wieleżyńska, personaggio autorevole del mondo culturale polacco, editrice, scrittrice e traduttrice di autori del calibro di Roland Barthes e Michel Houellequebec, la quale ha notato come alcuni Aglianico degustati avrebbero potuto essere qualsiasi altro vino. Un eccesso di lavoro in cantina, insomma, inficia la capacità di esprimere un’identità territoriale che invece, come rimarcato da Daniela Dejnega e Magda Beverari, è sempre più richiesta dai consumatori. E’ stato affermato in un passaggio della interessante e piacevole discussione che l’era del gusto internazionale, appiattito sulla ricerca della morbidezza e che pare ancora essere ricercato da alcuni vinificatori di aglianico del Taburno, è terminata, avendo preso il sopravvento, ormai, la ricerca di autenticità e di freschezza.
Il panel di giornalisti, insomma, non solo ha offerto una cronaca schietta delle sensazioni, senza sottacere critiche, ma ha soprattutto indicato possibili obiettivi su cui lavorare per contribuire all’affermazione dei vini del Sannio. Molto interessante l’osservazione del simpatico, competente ed appassionato Paul Balke, olandese trapiantato in Piemonte, il quale, a proposito dell’Aglianico, ha tracciato un quadro di grande potenzialità laddove si riesca, come avvenuto nella regione francese dello Jura, a realizzare un buon lavoro sui tannini senza compromettere la schiettezza del vino.
Il Presidente del Consorzio Sannio Tutela Vini,Libero Rillo, con la sincera passione per il progresso del territorio che contraddistingue ogni suo intervento, ha espresso viva soddisfazione per i commenti dei giornalisti, cogliendo nelle osservazioni critiche stimoli per nuove azioni del consorzio. La promozione di degustazioni alla cieca tra produttori che dismettono le vesti di competitors ed assumono quelle degli alleati che lavorano per migliorare il livello medio della produzione, ad esempio, sarà uno dei prossimi obiettivi della sua attività insieme a quella di rendere periodico l’incoming di giornalisti esteri.
Si può affermare, in conclusione, che dal mondo delle imprese vitivinicole ed in particolare dal Consorzio Sannio Tutela Vini arrivi il più affinato modello di azione strategica di crescita attualmente riscontrabile nella nostra provincia.