Una volta Domenico Rea disse: “Il Sannio e Benevento sono dei luoghi dove ancora si può vivere bene”. Non potrebbe ridirlo. Tre delitti in pochi mesi. A San Giorgio del Sannio a settembre fu uccisa Elvira. A Morcone a gennaio fu assassinata Aurora. Ora a Foglianise è stata uccisa con un forchettone da cucina Marcella. Vittime le donne. Assassini gli uomini. Coltelli, sangue, crudeltà. Poi il nulla. Gesù, fate luce.
A uccidere Elvira Ciampi fu il marito. La donna voleva divorziare e il marito non trovò di meglio da fare che ucciderla con i coltelli della loro cucina. A uccidere Aurora Marino fu il suo amante che, avendo un’altra donna e volendosi sposare, non sapeva come interrompere la relazione e scelse il modo peggiore: trenta coltellate. A uccidere Marcella Caruso sembra sia stato il tipografo Antonio Tedino e, forse, proprio lei ha aperto la porta di casa al suo assassino. Tutte e tre le vittime sono state uccise con armi da taglio. I loro corpi sono stati dilaniati e sono caduti ai piedi degli uomini che avrebbero dovuto dare loro amore e protezione. Sei mesi tre femminicidi. Una concentrazione di violenza, follia e sangue in un piccolo fazzoletto di terra e case sparse. Un delitto ogni due mesi. Non sembra che nulla del genere si sia verificato in Italia. Altri delitti – ormai celebri, da Garlasco ad Avetrana, per citarne solo due – hanno fatto discutere per la giovinezza in fiore delle vittime e il caso irrisolto della mano assassina, mentre i delitti del Sannio non si sono trasformati in “gialli” e la notizia, dopo il primo giorno, è passata nel dimenticatoio. Oggi sappiamo che è un male. Perché nella incredulità generale il femminicidio sannita si sta trasformando in una pericolosa serialità.
Il brutto neologismo “femminicidio” non mi piace ma non è il caso di farne una questione linguistica. Sarebbe meglio, però, riconsiderare il mito e la storia delle streghe: per una volta il simbolo, abbastanza retorico e frusto di Benevento, torna utile per “mettere a fuoco” i fatti di sangue in cui le donne sono uccise perché sono diventate un problema, un impiccio, un ostacolo, un’offesa. Mi viene da dire viva le streghe e forse anche la festa della donna, retorica anch’essa come, in verità, un po’ tutte le feste, dovrebbe dare spazio a Benevento proprio alla festa della strega, alla celebrazione della libertà di scelta. Perché strega significa solo e bene “donna libera”. Allora, viva le donne libere o che rivogliono la loro libertà, o viva le donne sbagliate che hanno commesso l’umanissimo errore di vivere per davvero la passione. Viva le streghe vive.
A volte il Sannio mi sembra come la provincia della nostra anima. Un luogo oscuro che ha in fondo al suo fondo qualcosa di indicibile. A volte da quel fondo risalgono i demoni che rendono la apparentemente serena vita di paese un mattatoio. Il mondo è pieno di dèi anche nel tempo della scienza e della tecnica o, chissà, proprio nel tempo della scienza e della tecnica. O più semplicemente il mondo ha dentro di sé il male e fingere di non saperlo è un rimedio peggiore del male. Forse – come sapeva bene Piero Chiara – è davvero un luogo comune quello che vuole che la provincia sia tranquilla e la grande città inquieta. I delitti più crudeli e morbosi si verificano puntualmente in periferia. La passione, tenuta a freno, esplode nel modo più violento come mai – almeno a memoria di chi scrive – si era verificato in un passato prossimo e remoto. La provincia sannita nasconde sotto la parvenza di una vita tranquilla una vita inquieta che se non trova il modo per esprimersi diventa pericolosa fino alla follia assassina.
Tre delitti in sei mesi in tre paesi che distano l’uno dall’altro meno di trenta chilometri fanno paura a tutti. Non solo ci si interroga su cosa stia accadendo ma – senza infingimenti – anche chi sarà la prossima vittima. Ciò che spaventa dei delitti del Sannio è la successione che lascia pensare ad un visibile calo della volontà di governare se stessi. Il governo di sé è la cosa più difficile della vita. Ma la più importante. Quando le donne non si lasciano governare con sottomissione scatta il momento folle del non-governo di sé e la violenza che in casi estremi arriva all’assassinio. Come se il maschio sannita avesse problemi con le donne fino a odiarle. Come se fossero uomini che odiano le donne. Come se non fossero uomini liberi capaci di accettare gioie e dolori, vittorie e sconfitte. Elvira voleva solo divorziare perché sapeva che il suo matrimonio era finito. Aurora voleva solo chiarimenti sulla relazione del suo amante. Marcella non sappiamo cosa volesse o non volesse, ma qualunque cosa pensasse non doveva morire sul suo letto matrimoniale con un forchettone conficcato in corpo.