Indro Montanelli diceva che l’Italia si governa solo dal centro. Aveva ragione ma oggi avrebbe torto. Non perché il nostro Paese oggi sia governabile da destra o da sinistra ma perché non è più governabile neanche dal centro. Avrebbe dunque ragione Mussolini il quale lamentava la ingovernabilità degli italiani: “Governare gli italiani – diceva – non è difficile, è inutile”. Ma non per, come riteneva il dittatore, il carattere anarcoide dei connazionali, piuttosto per un istinto conformista, per una propensione all’intruppamento e alla servitù volontaria, salvo parlar male del padrone, come è tipico dello spirito del cameriere. Il cosiddetto patto del Nazareno, rotto o in uso che sia, dimostra proprio questa inutilità a governare ormai l’Italia persino dall’unico luogo dal quale è stata sempre storicamente governata.
Il patto del Nazareno, che sembrava far tanto scandalo, altro non è stato che un’intesa tra opposte forze politiche accomunate dalla necessità di tenere il governo. Nulla di nuovo sotto il sole. Non solo la storia nazionale è fatta così, mettendo cioè in fuorigioco forze anti-sistema che per natura rifiutano il gioco ossia il regime possibile della libertà, ma essa stessa, l’Italia, è nata da un patto che fu chiamato connubio: l’accordo tra Cavour e Rattazzi al fine di limitare le forze estreme a destra e a sinistra per svolgere una politica liberale in difesa del costituzionalismo. L’intesa aveva il suo cuore nella grande politica di Cavour che sapeva benissimo quale fosse il problema politico italiano ed europeo riassumibile nella formula “né reazione né rivoluzione”. Il vero e unico creatore della politica italiana è, lo si voglia o no, lo si sappia o no, proprio Cavour e nasce quando i liberali stringono l’intesa con i moderati per il raggiungimento di un obiettivo storico europeo: l’unità nazionale italiana. Il patto del Nazareno, mutato tutto ciò che va mutato, è la nuova configurazione storica dell’eterno problema italiano. Ma con un particolare che fa la differenza: il patto o connubio deve per forza di cose avere un’anima o una guida liberale capace di realizzare autentiche riforme, altrimenti è solo una verniciatura o pura gestione di potere. Il liberalismo del patto del Nazareno è pressoché nullo e il riformismo del governo Renzi è una barzelletta. La classe politica italiana non conosce la sua stessa storia.
L’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale è stata variamente interpretata con analisi parlamentari e partitiche. Ma le uniche cose che realmente contano sono due: primo, Renzi il rottamatore, unendo il proprio partito e la sinistra alla sua sinistra, ha eletto al Quirinale un uomo della Prima repubblica; secondo, con l’elezione di Mattarella tutti i democristiani si sono arrapati perché hanno visto nell’elezione quasi un segno dello Spirito Santo ma, in realtà – come ha detto più laicamente Paolo Cirino Pomicino – Mattarella è il frutto del cattolicesimo democratico che è una delle culture politiche della Prima repubblica che, anche se morta, ancora dà qualche frutto mentre la Seconda repubblica non avendo avuto vere culture politiche non dà frutti. Da questi due fatti si possono ricavare due conseguenze chiare, almeno per chi ha occhi per vedere: il rottamatore è un restauratore e il cattolicesimo democratico del presidente della Repubblica unisce – per dirla con Pomicino – le due culture politiche del Novecento, quella cattolica e quella comunista, dissolvendo ogni illusione liberale e chiudendo il cerchio della conservazione statalista.
Il comunismo e il cattolicesimo democratico sono state – anche qui lo si voglia o no – due culture politiche a vocazione e a tendenza totalitaria. Con esiti, scopi e posizionamenti diversi ma entrambe le forze politiche di quelle culture – Dc e Pci – avevano come fine la conquista dello Stato. Il risultato comune di quelle culture totalitarie è lo statalismo che di fatto è un totalitarismo morbido. Morbido ma duraturo perché il cattolicesimo e il comunismo hanno lavorato in profondità nell’anima italiana a tal punto che gli italiani sono ormai tutti statalisti e vogliono ed esigono che lo Stato entri nelle loro vite materiali e morali e risolva ogni cosa, fatta eccezione per quelli che Saverio Vertone chiamava i propri porci comodi. Solo qui si incontra resistenza: i fatti miei me li vedo io e lo Stato deve chiudere un occhio anzi due, per il resto lo Stato deve intervenire e garantire diritti, lavoro, responsabilità. Lo Stato ormai non ha più nulla a che vedere con lo Stato nazionale, ma è un dispensatore di diritti, il soddisfacimento di bisogni, il terminale di richieste, il legislatore assoluto che tutto deve normare – scusate la parolaccia – per tutto normalizzare. Gli italiani, custodi flessibili dei propri comodi, si offrono per essere le vittime gaudenti del loro statalismo. Gli italiani, dalle piazze alle redazioni dei giornali alle istituzioni, hanno una testa politica arcaica: per loro il problema non è mai quanto governare, ma sempre e soltanto chi deve comandare. Ormai, la testa degli italiani funziona così. Questa splendida ideologia italiana è l’individualismo statalista. Il giovane Renzi interpreta la parte del risolutore, il vecchio Mattarella quella del prete laico che officia la messa statalista. Il governo Renzi è una delle massime espressioni dell’ideologia italiana. Il suo riformismo trasformista è il guardiano dello statalismo italiano. La nuova legge elettorale è fatta per conservare questo stato di cose.