In provincia di Benevento c’erano due ospedali e un fantasma. E’ rimasto solo il fantasma: l’ospedale di San Bartolomeo in Galdo in costruzione dall’epoca del primo governo Fanfani. Gli altri due – il San Giovanni di Dio di Sant’Agata dei Goti e il Madonna delle Grazie di Cerreto Sannita – prima sono stati chiusi e poi fusi nel presidio ospedaliero Sant’Alfonso de’ Liguori che sorge in splendida solitudine nella località santagatese San Pietro. In teoria dovrebbe essere, con i suoi 250 addetti tra medici e infermieri, un presidio sanitario più potente dei “genitori”; in pratica non è mai decollato e ogni anno, per ragioni tanto contabili quanto sanitarie, rischia la chiusura nonostante le ottime professionalità mediche e infermieristiche di cui dispone. C’è una strada per salvarlo? Sì ed è la cosiddetta “via lombarda”: il passaggio della gestione del presidio dall’Asl all’Azienda ospedaliera Rummo di Benevento. Un “affido” che in Lombardia ha dato buoni risultati sanitari, ottimi rientri economici e ha salvaguardato posti di lavoro. Dunque?
Dunque, la Asl non intende cedere il controllo del presidio che, invece, con il passaggio al Rummo diventerebbe una sede staccata dell’Azienda sanitaria beneventana creando una sinergia con la “cittadella ospedaliera” che – particolare importante – è un’eccellenza della sanità regionale. Da una parte il presidio santagatese garantirebbe servizi, prestazioni, interventi che oggi non ha; dall’altra l’ospedale beneventano avrebbe una moderna sede sul territorio provinciale che gli consentirebbe di alleggerire il carico di lavoro del pronto soccorso e dei reparti. E’ molto meglio avere due strutture che lavorano insieme, piuttosto che due centri medici e amministrativi che si sovrappongono nelle competenze creando disagi a pazienti e famiglie. Facciamo il caso dei malati portatori di Peg (sondino per la nutrizione enterale): il presidio santagatese non è in grado di impiantarli ma è il centro che prescrive le terapie nutritive; l’ospedale beneventano opera e impianta i sondini ma non prescrive la nutrizione. Il disagio per questi pazienti, che sono malati speciali perché non sono più in grado di nutrirsi autonomamente, è massimo: le loro famiglie sono costrette a fare il giro delle sette chiese amministrative per venire a capo della situazione, mentre una banale riforma gestionale permetterebbe loro di avere un solo interlocutore sanitario e amministrativo.
L’affidamento del presidio ospedaliero di San Pietro al Rummo è una soluzione utile a tutti: medici, infermieri, amministrativi e soprattutto pazienti, malati, famiglie. Le due strutture mediche distano l’una dall’altra poco meno di trenta chilometri e insistono su un bacino d’utenza di 300mila abitanti ma il Rummo, per i suoi servizi di buon livello, è al centro di un’area geografica molto più vasta e ospita pazienti provenienti dalle altre province campane e da altre regioni. L’Azienda sanitaria, fatta eccezione per la cardio-chirurgia infantile, garantisce in pratica tutti i servizi sanitari ed è una risorsa umana ed economica che può essere ancora potenziata a beneficio dei malati. Il presidio ospedaliero di Sant’Agata dei Goti, invece, garantisce poco e, al netto di annunci inconsistenti, ancora per poco. La stessa Asl, che cura i servizi sanitari locali, ricaverebbe da questo passaggio di consegne un’agilità d’intervento potendo concentrare le sue forze sul territorio. Se si guarda ai servizi per i malati, la scelta è praticamente già fatta.