di Gabriele Corona *
Il 23 maggio scorso, prendeva fuoco il deposito Barletta in contrada Cesine di San Giorgio del Sannio, e sul sito rimangono ancora, dopo cinque mesi, gran parte dei materiali bruciati che dopo le esalazioni dovute al caldo estivo ora sono sotto la pioggia con conseguente dispersione di altri inquinanti nella zona.
Come disposto dal Codice per l’Ambiente, la ditta proprietaria del capannone avrebbe dovuto, sotto il controllo del Comune, dell’ARPAC e della ASL, tempestivamente “caratterizzare” i rifiuti, cioè stabilire con apposite analisi la loro natura per decidere come rimuoverli e smaltirli. Ed invece, la prima conferenza dei servizi si è tenuta il 5 agosto, dopo oltre due mesi, ma solo per decidere di smantellare in tutta fretta il capannone danneggiato dal fuoco senza rendere noti i risultati delle analisi dell’aria, del suolo, delle acque e dei rifiuti prodotti dalla combustione.
L’ARAPC di Benevento che in occasione dell’incendio di un altro capannone in provincia ha tempestivamente attivato tutte le procedure di legge per “caratterizzare” i rifiuti e bonificare l’aria, nel caso di San Giorgio del Sannio ha sempre sostenuto che quell’incendio durato 60 ore, non ha prodotto un inquinamento preoccupante.
Ed invece, è stata la stessa ARPAC con il verbale n. 382 emesso il 29 maggio, ad accertare un quantitativo di Benzene pari a 575 microgrammi per metro cubo, cioè 115 volte superiore al valore di riferimento.
E non basta! Il 18 giugno sempre l’ARPAC ha emesso il verbale n. 380 relativo all’esame delle acque di spegnimento giudicate “NON ACCETTABILI, per il superamento dei parametri Alluminio, Ferro, Rame, Tensioattivi totali e Zinco.”
In modo particolare l’Alluminio riscontrato è stato di venti volte superiore al limite massimo consentito e i Tensioattivi addirittura sono risultati pari a 650 volte i valori normali.
Quando la scorsa estate si bruciò un capannone di Atripalda, le autorità preposte alla tutela ambientale ed i Vigili del Fuoco riuscirono a raccogliere e disinquinare le acque di spegnimento prima della immissione in fogna, nel caso di San Giorgio del Sannio, invece, le acque piene di metalli ed altri materiali inquinanti sono finite nella cunetta non impermeabilizzata con conseguenti infiltrazioni nel terreno e nelle falde, oppure sono finite nella fogna che dopo alcune centinaia di metri sversa a cielo aperto, senza alcuna forma di depurazione, in una canale utilizzato anche per irrigare gli orti.
Nessuna comunicazione, però è stata fornita ai cittadini per avvisarli del pericolo derivante dall’inquinamento della zona e neppure sono stati analizzati i pozzi delle abitazioni circostanti o sottoposti ad analisi gli abitanti della zona. Tutti hanno voluto minimizzare gli effetti dell’incendio, ma neppure durante la ultima Conferenza dei Servizi tenuta il 5 ottobre presso il Comune di San Giorgio del Sannio, è stata certificata la “assenza di pericolo per la salute pubblica e l’ambiente”.
Si tratta di comportamenti estremamente gravi che segnaliamo alla Procura della Repubblica sperando, ancora una volta, che almeno la Magistratura accerti le responsabilità degli amministratori e dei pubblici funzionari che sempre più spesso dimenticano i compiti istituzionali cui sono preposti.
* Presidente di ALTRABENEVENTO – associazione per la città sostenibile contro il malaffare