di Giancristiano Desiderio
Lo strano caso del Secolo d’Italia: quando era un quotidiano utile, e la destra di An contava e sfiorava il 15 per cento del consenso elettorale, non se lo filava nessuno; ora che il giornale non c’è più e la destra è scomparsa, tutti lo vogliono. Perché? Perché a destra c’è sempre la sindrome dei reduci, solo che – come sapeva Marx – la prima volta è una tragedia mentre la seconda è una farsa. Così Italo Bocchino è diventato direttore editoriale e marketing del giornale con l’idea che vada ricostruito il centrodestra perché – annuncia senza falsa modestia – i partiti cambiano ma le tradizioni politiche restano. Però, Assunta Almirante, vedova di Giorgio, non gliele manda a dire: “Non si può premiare chi ha contribuito a distruggere il nostro mondo”. Effettivamente, cronache alla mano, Bocchino il suo contributo alla distruzione della destra, proporzionato alla parte in commedia, l’ha dato.
Il giovane Italo ha sempre avuto un piede nell’editoria e uno nella politica seguendo le orme di Pinuccio Tatarella. Tanto nei giornali quanto nei partiti, però, al contrario del maestro, ha lasciato dietro di sé più macerie fumanti che solide costruzioni. I quotidiani, dal Roma a L’Indipendente, hanno raccolto contributi ma non sono stati sostenuti. Più che altro Bocchino li ha usati come dei taxi in cui si sale e si scende arrivati a destinazione. Con l’assunzione della direzione del nuovo taxi Bocchino ha già rispolverato l’idea di rifare la Festa del Secolo, come se il Secolo d’Italia fosse, appunto, il secolo scorso.
In Alleanza nazionale non è mai stato, buon per lui, uno colonnello come la Russa, Gasparri, Alemanno, Storace e Matteoli; piuttosto, data l’età e il peso politico, un attendente. Tatarella era detto il ministro dell’Armonia ma proprio Bocchino non è riuscito a rubare al maestro il segreto dell’equilibrio e della sintesi fino a diventare – come dice Mario Landolfi – un “personaggio divisivo”. Fini nel suo recente libro Il ventennio sostiene che proprio Bocchino fu individuato da Berlusconi come l’anima nera del “dissenso finiano” e fu lui a organizzare Fli – “Futuro e libertà per l’Italia”, un partito che non aveva un passato e non ha avuto un futuro. Ma prima della rottura personale con Berlusconi, proprio Bocchino, nelle vesti di vicecapogruppo del Pdl alla Camera, era un assiduo interprete della linea politica berlusconiana e appariva ogni sera negli esaltanti “pastoni politici” del Tg1. In fondo, dare la linea è sempre stato il suo lavoro preferito. Somiglia a quel tale che non avendo mai lavorato si dedicava all’organizzazione di feste e concerti: una volta il tale provava l’audio e diceva nei microfoni “prova, prova, prova” come in genere si fa. All’improvviso, forte e chiara, si udì una voce dal fondo della piazza: “Prova a fatica’ ”. E’ solo una battuta, ma dà un po’ il senso della misura. Che è colma. L’idea di far rinascere la destra con gli stessi personaggi che l’hanno distrutta è grottesca. Ma ancor più inutile è fare come se nulla fosse accaduto, pensando di essere ancora nel secolo scorso.
tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 18 giugno 2014