di Giancristiano Desiderio
Come o con chi inizia Essere e tempo? Né con Heidegger, né con Aristotele. Inizia con Platone e, in particolare, con una frase tratta dal Sofista: “Perché è chiaro che voi avete una lunga familiarità con quello che propriamente intendete quando usate l’espressione ‘essente’, ma noi, una volta abbiamo sì creduto di saperlo, ora però siamo caduti nell’imbarazzo”. Da qui muove Martin pensatore – il papà del Dasein, “da-da-da-dasein” come diceva il fratello Fritz, che era un po’ balbuziente e un po’ ironico – per rilanciare e riscoprire nella storia del pensiero occidentale nientemeno che la nuova ricerca del senso dell’essere. Il filosofo della Selva Nera, che sull’ingresso della sua baita aveva scolpito un aforisma di Eraclito, a volte è considerato il maggior filosofo del Novecento, a volte è visto come il classico “cane morto” della tradizione filosofica, a volte è visto come lo spirito che si alleò con il Male – come nel caso della pubblicazione ora in Germania delle “confessioni” del filosofo con le 1300 pagine dei Quaderni neri che in Italia saranno pubblicati da Bompiani – ma al di là del suo pensiero dell’essere e del tempo, ciò che resterà come il vero Heidegger sarà, forse, l’interpretazione che diede della filosofia greca fino a ri-attualizzarla e a farla sentire viva. “La filosofia – amava ripetere – è nata in Grecia ed è nata grande”. Egli stesso si sentiva greco, anche se quando si recò in Grecia per un viaggio alla ricerca dell’essere, rimase freddo e non nascose a sé e agli altri la delusione. Fu un suo allievo, Karl Lowith, a dire che il pensiero di Heidegger è di per sé nazista. In fondo, quando Heidegger divenne rettore a Friburgo si mise al servizio del nazionalsocialismo per motivi filosofici, credeva di poter attuare con Hitler una “rivoluzione metafisica”. Nei Quaderni neri Heidegger parla del Fuhrer come del “nuovo inizio” capace di “superare l’età moderna” e quindi l’ “americanismo” ma poi si rende conto che il nazionalsocialismo è parte della modernità e non la supera ma la compie. Heidegger fu deluso dal regime del quale accettò e giustificò anche l’antisemitismo, tanto che nel 1941 scriveva: “L’ebraismo mondiale, istigato dagli emigranti lasciati uscire dalla Germania, è dovunque imprendibile e non ha la necessità, nonostante tutto lo spiegamento di forze, di partecipare ad azioni militari. Invece a noi non resta che sacrificare il miglior sangue dei migliori figli del popolo”.
Platone e Aristotele sono i due filosofi con i quali Heidegger il greco dialogò per tutto il “cammino” del suo pensiero. Franco Volpi, che forse è stato il maggior interprete italiano di Martin Heidegger, non solo sapeva che senza lo studio e l’interpretazione che Heidegger fece negli anni Venti di Aristotele non ci sarebbe stato Essere e tempo ma notava anche, e con forza, che in fondo il libro heideggeriano dedicato a Edmund Husserl, nel mostrare l’analitica dell’esistenza riprende e ripropone il “senso sostanziale di quella caratterizzazione dell’essere e della vita morale dell’uomo che Aristotele elabora nel libro VI dell’Etica nicomachea”. Ma all’origine del “primo Heidegger” non solo c’è la lettura di Aristotele alla luce della fenomenologia – Heidegger ripeteva che proprio Aristotele fu il primo fenomenologo – ma anche la lettura di Platone in un percorso chiarito dallo stesso filosofo tedesco che non va da Platone ad Aristotele ma, al contrario, da Aristotele a Platone.
Nel semestre invernale 1924-25, a Marburgo, Heidegger tenne un corso sul Sofista di Platone che ora Adelphi, proseguendo la pubblicazione delle opere heideggeriane, ha mandato in libreria: Il “Sofista” di Platone. L’importanza di questo seminario di Heidegger – per la prima volta edito in Italia – la si capisce subito: il volume è il più corposo tra tutti quelli dei sui corsi accademici. Il giovane filosofo vi si dedicò anima e corpo. Il 14 luglio 1923 scriveva a Jaspers: “Il novanta per cento delle mie forze è assorbito dall’attività di docente”. E davvero è in questa attività il miglior Heidegger. Le lezioni sul Sofista gli diedero una tale notorietà che il seminario estivo del 1925, pur facendo lezione tra le 7 e le 8 del mattino, contava centoventi studenti in aula. Niente male, davvero. E tra quegli studenti vi erano, come già in inverno, alcuni giovanissimi che avrebbero fatto strada: Hannah Arendt, Hans Jonas, Helene WeiB e, naturalmente, Hans-Georg Gadamer. Proprio Gadamer ricordando quelle lezioni dirà: “Ti venivano aperti gli occhi”.
Ma perché il Sofista? Perché è un’opera capitale nella storia del pensiero occidentale in cui ne va del senso dell’essere e del nulla. Platone vi commette il celebre “parricidio” nei confronti del “venerando e terribile” Parmenide che aveva messo in guardia dal percorrere “il sentiero della Notte” ossia aveva quasi vietato di pensare il nulla che non è e non è pensabile né dicibile. Ma senza il nulla e il suo contraddittorio velo non è dato pensare le cose che sono: l’Occidente. Ecco perché comprendere i Greci “non può significare altro che comprendere noi stessi”, dice Heidegger il greco. Eppure, è in questa sua idea, quasi una idea fissa, di ripensare il senso dell’essere che Heidegger incontra il nazionalsocialismo e crede di poter avviare nientemeno che una “rivoluzione metafisica” che lo porterà a confondere Parmenide con Hitler.