di Giancristiano Desiderio
Si scrive Benevento ma si legge Malevento. L’antico nome della città di Diomede è più calzante ai tempi perché oggi più di ieri l’aria che tira nella città di Clemente Mastella, Umberto Del Basso De Caro e Nunzia De Girolamo è pesante (lascio da parte volutamente e faziosamente Pasquale Viespoli perché la sua storia racconta un’altra storia, piaccia o no). A Malevento in media ogni due mesi scoppia uno scandalo e i vertici di un’istituzione finiscono in procura o agli arresti domiciliari e qualche volta sono allontanati dalla città come in una sorta di nuovo temporaneo ostracismo. L’altro ieri toccò alla Provincia, ieri al Comune, quindi alla Asl e oggi, per completare il quadro, è la volta del prefetto Ennio Blasco arrestato all’alba in casa sua con l’accusa grave di corruzione. Il beneventano comune che assiste a questa periodica “caduta degli dèi” rimane un po’ perplesso ma, tutto sommato, da uomo di mondo di provincia commenta con il suo connaturato scetticismo e tira a campare, mentre al di là delle mura longobarde, scomodando Shakespeare, si chiedono: “Ma c’è del marcio a Benevento?”.
Una cosa è un’indagine, altra cosa è se la quasi totalità della classe politica e dirigente della città è sotto inchiesta. Il caso maleventano, purtroppo, è questo. Dopo le indagini a Palazzo Mosti, l’allontanamento temporaneo del sindaco Pepe e il seguente suo rinvio a giudizio, dopo la fine del governo Prodi attraverso l’inchiesta sull’Udeur e le dimissioni del ministro Mastella, dopo la fine del governo Letta con la bufera giudiziario-sanitaria dell’Asl sannita e le dimissioni della ministra De Girolamo, ecco che l’arresto del prefetto Blasco – ma già in precedenza c’era stato l’arresto di un altro prefetto di stanza a Benevento – sembra un cerchio che si chiude nel punto in cui la circonferenza dovrebbe essere più salda: la rappresentanza in provincia di Stato e governo. Invece, per passare dall’Amleto alla Vita spericolata, “la combriccola del Blasco” è accusata di corruzione e al signor prefetto in particolare si muovono le accuse – tutte da verificare, già in passato Blasco è stato ingiustamente arrestato: è bene sottolinearlo – di aver accettato gioielli, viaggi, auto con annesso autista in cambio di agevolazioni nel rilascio della certificazione antimafia. Le accuse, in verità, sembrano un po’ “ingenue” o stravaganti e comunque sempre da dimostrare. Tuttavia, Malevento resta, tra le città di provincia, una sorvegliata speciale. Non è un caso che il mito di Benevento come isola felice della Campania sia oggi, appunto, solo un mito mentre la realtà dei fatti è che la città sannita è diventata “piazza di spaccio” e il suo territorio è ormai considerato “terra di camorra”. Così l’altra sera la deputata grillina Giulia Sarti parlando nella trasmissione della Gruber Otto e mezzo ha avuto buon gioco nell’indicare il comune di Benevento come una delle amministrazioni comunali da sciogliere. Il sindaco Pepe si è arrabbiato, ma in realtà si dovrebbero arrabbiare i beneventani. E non con la Sarti. Benevento è regredita a Malevento. Non è un’esagerazione: è una cronaca dei fatti accaduti negli ultimi tempi che non sono tempi di cui andar fieri. In particolare, Malevento è una città che ha perso la testa. E’ acefala anche se il sindaco ha sempre rifiutato di dimettersi (e se volete sapere perché ve lo dico in due parole: perché deve candidarsi per le regionali). O, se volete – a proposito di cefali – è come il pesce: puzza dalla testa.
Il caso di Malevento si segnala perché – fatta eccezione per la curia vescovile – tutte le sue istituzioni sono interessate da indagini, inchieste e processi giudiziari le cui origini, persino al di là della stessa motivazione penale dell’azione della procura, son facili da riscontrare in un comune denominatore: l’eccessivo clientelismo. Ciò che dovrebbe muovere la meraviglia, ma sembra agevoli l’assuefazione, sono le dimensioni: la città è piccola, la corruzione è grande. E’ questo, al di là dei procedimenti giudiziari, il vero dramma che vive oggi Malevento.