Ha trentanove anni, si chiama Matteo Renzi, viene da Firenze, è presidente del Consiglio e nel suo discorso di presentazione e di programma ha detto ai senatori che se ne devono andare. Ha modi spicci il sindaco d’Italia ma tutti sappiamo che fuori dal Palazzo vi sono modi ancora più spicci con cui si pensa alla crisi e alle responsabilità delle molte classi politiche e dirigenti che si sono alternate a Palazzo Chigi. In molti hanno notato che il nuovo capo del governo non ha letto e il suo discorso non è stato il massimo della correttezza istituzionale. Ma a leggere sono buoni tutti, mentre presentarsi a Palazzo Madama e parlare alla buona dicendo pane al pane e vino al vino è dimostrazione di carattere e coraggio. Cosa si deve fare lo sanno ormai tutti: tagli alla spesa e alla tasse. La scommessa è tutta qua.
Non abbiamo davanti a noi uno statista. Ma se avessimo avuto statisti non ci troveremmo con il culo nei pomodori. Renzi ha fatto il sindaco, ha praticato popolo, amministrazione e merda. I suoi risultati li ha conquistati uno dopo l’altro con intelligenza e rabbia. Arrivato al vertice del suo partito non ha avuto altra scelta che dare il benservito a Enrico Letta e prendersi direttamente le sue responsabilità. Lo ha detto lui stesso: “Se falliamo sarà solo colpa mia”. Di tutto lo si potrà accusare, tranne di voler far carriera. Se avesse pensato anche per un secondo alla carriera avrebbe lasciato tutto com’era. Il carrierismo politico è un male morale. La scuola di Renzi è diversa. E’ fatta di cose reali, apprese per esperienza e non sui libri: le prime contano, le seconde sono appiccicaticce. Sarà anche sfrontato, sbruffone, insolente ma è vero. E’ autentico persino nei giochi della politica in cui la falsità è una pratica di gioco. Non pensando alla carriera è andato di gran carriera al nocciolo della questione e ora è già arrivato al momento della verità: deve dimostrare a noi e a se stesso che le cose che ci diciamo addosso da decenni si possono anche fare. Non sarà una passeggiata, ma il tempo dell’attesa è finito.
L’Italia è un paese in declino. Lo è da anni. Lo è nell’economia, nella politica, nella cultura. Abbiamo creduto nella democrazia dell’alternanza per diventare adulti e normali ma ci siamo ritrovati in un sistema politico più ideologico e fanatico del precedente. Renzi non si pone il problema della sinistra e della destra, viene a dirci che l’avversario è solo l’avversario e ci si parla nell’interesse comune e superiore del Paese. Gli ideologismi e i fanatismi sono una fregatura per chi vuole vivere, crescere e lavorare mentre sono un toccasana per chi non sapendo fare un cazzo si è dato alla carriera politica. Renzi è fuori da questa storia e se riesce a portarci anche Italia e italiani sarà un capolavoro.
L’idea di andare ogni mercoledì in una scuola non è male. Sembra avere un che di demagogico, soprattutto perché la politica non deve entrare in classe. Ma se riesce ad avvicinare scuola e Stato può essere un bene. La scuola italiana vorrebbe essere una scuola di Stato ma in realtà non lo è più da molto tempo e in suo luogo c’è una scuola corporativa e sindacale. Della scuola Renzi non sa molto ma il mercoledì non è il mio giorno libero, se viene dalle mie parti sono disposto a dirgli qualcosa di questo tipo: via il diploma legale, nuovo stato giuridico dei professori, possibilità di scelta degli insegnanti da parte dei presidi. Ha ragione il sindaco d’Italia: la scuola è una priorità, ma non per l’edilizia scolastica – che è un problema edile e non scolastico – piuttosto perché attraverso la scuola passa la pratica della libertà da cui dipende il valore della democrazia e delle istituzioni. E, come sapeva bene don Sturzo, gli italiani non saranno liberi fino a quando non sarà libera la scuola.
Auguri, Matteo.