In Italia ha vinto Renzi, a Benevento Cuperlo. Il sindaco di Firenze ha detto che non è finita la sinistra ma la peggiore classe dirigente degli ultimi trent’anni. A Benevento le due cose coincidono: sinistra e classe dirigente sono la stessa cosa. La peggiore classe dirigente della sinistra governa male, molto male a Benevento e dintorni da tempo con il peggior sindaco della sua storia. L’affermazione di Cuperlo è il segno concreto della presa del potere di un gruppo dirigente che ha fatto della conquista del partito il suo strumento prediletto e privilegiato per il mantenimento del suo potere inutile. Una classe dirigente che ha contro di sé un malcontento diffuso che, però, non si è espresso se non limitatamente a favore di Renzi perché in fondo è esso stesso figlio di una cultura di sinistra vecchia, stanca, partitica. A Benevento i riformisti, che non sono riformatori, sono andati al governo mentre un’altra sinistra è rimasta alla finestra ad abbaiare alla luna con le solite sterili ma costosissime litanie socialiste, stataliste, confusionarie e anche democristiane. Ecco perché Renzi a Benevento non ha vinto.
La classe dirigente di sinistra di Benevento – forse la peggiore di sempre – dovrebbe dimettersi in massa. Dovrebbe andar via. Chiedere scusa e uscire di scena definitivamente. Non accadrà, è naturale. Nessuno va via se un altro non lo caccia. Il vantaggio della peggiore classe dirigente della sinistra sta nel fatto che l’altra sinistra che la contesta è impossibile: berlingueriana, arretrata, terzomondista, abita in un altro secolo. E’ la stessa classe dirigente ad esprimere i riformisti, solo che questi riformisti non sono riformatori ma reazionari. Sono l’unione dei democristiani e dei socialisti che si sono seduti sulle poltrone degli enti locali e del sottogoverno e lì aspirano a morire. E’ l’espressione progressista e a volte radical-chic della sottoborghesia impiegatizia beneventana.
Li farà sloggiare Renzi? Neanche per sogno. Perché in fondo al sindaco di Firenze, che pure ha spazzato via una intera classe dirigente, non frega niente di questi, come non frega niente dei gruppi parlamentari. Sa che sono al loro posto solo per la continuità della legge d’inerzia ma la loro quiete o il loro moto – senz’altro non rettilineo uniforme – sarà interrotto da una forza esterna che ne modificherà lo stato. La forza di Renzi è viva e continuerà ad essere viva fino a quando prenderà sul serio il cambiamento che gli viene chiesto a gran voce e, soprattutto, se sarà in grado di realizzarlo almeno in parte, addirittura contro gli stessi che oggi gli chiedono di cambiare senza sapere cosa realmente significhi cambiare. Il sindaco di Firenze non diventerà il sindaco di Benevento se non commetterà l’errore berlusconiano che appartiene a tutto l’arco costituzionale e anticostituzionale della Seconda repubblica: ridurre la politica a comunicazione. Per questa forza viva, in massima parte extraparlamentare, il partito nelle sue vecchie rappresentanze non è una risorsa ma un ostacolo: nel ventennio berlusconiano è stata la sinistra a interpretare il ruolo di forza conservatrice. Renzi non sa che farsene del Pd per il Pd. Non concepisce il partito come un fortino nel deserto dei Tartari. Al contrario, se vuole governare l’Italia non deve mirare al Pd, che ora ha, ma agli elettori che non sono nel Pd: berlusconiani e grillini. Renzi non vuole un potere inutile alla maniera beneventana e meridionale. Il problema del nuovo segretario del Pd è esattamente questo: riuscirà a incidere con lo stesso governo Letta o la logica del rimando dell’esecutivo in carica lo cucinerà a fuoco lento? Renzi è veloce, forse anche troppo ma la situazione è terribilmente complessa e ingarbugliata. A iniziare dalla legge elettorale che non c’è.
Per alcuni Renzi è un genio, per altri un pazzo. In realtà, il suo successo è figlio sì della sua bravura, ma soprattutto della condizione in cui si è trovato e del fallimento storico che ha ereditato. Ciò che lo rende grande è il disastro passato e presente. E’ quasi un effetto ottico. Senz’altro è un orfano. E’ il padre di se stesso. Fare fronte al fallimento è necessario ma difficile, molto difficile. Un generazione di quarantenni senza padri né maestri, sen’arte né parte ma ora con un partito si affaccia sulla scena della politica e della storia alla ricerca di un potere utile e, ancor più, di se stessa.