Per i suoi splendidi cinquant’anni, la casa editrice Adelphi ha pubblicato un numero unico di Adelphiana – 1963 2013. E’ un libro – librone – che ripercorre mezzo secolo di storia editoriale che inevitabilmente è un pezzo (consistente) della cultura italiana. Tutti e cinquanta gli anni sono raccontati con i libri pubblicati, con le copertine, con gli autori, con immagini rare o particolari. Un libro che raccoglie come in un solo sguardo la storia dell’Adelphi e – per dirla con lo stesso Roberto Calasso – la sua forma. Il testo, infatti, andrebbe letto e sfogliato insieme con un altro libro pubblicato nella primavera scorsa da Adelphi e scritto dallo stesso Calasso: L’impronta dell’editore. E’ vero quanto sostiene Calasso ossia che la storia dell’editoria è una storia in gran parte non scritta e, forse, proprio per questa sua “oralità” è ancora più affascinante. L’idea di Calasso è che la Adelphi sia di per sé un solo unico libro e i testi pubblicati sono i capitoli di questo unico testo che è la casa editrice ideata per la prima volta da quel personaggio affascinante e misterioso che fu Roberto Bazlen. Un’idea possibile? L’idea sì, senz’altro; ma la realtà no, perché che i libri di un editore siano i capitoli di un unico libro – come se ciò che si pubblica fosse un “serpente di libri” – è un sogno, al più un’utopia o un’idea dalla quale deriva, appunto, L’impronta dell’editore. E oggi ciò che manca agli editori italiani, ammesso che esistano ancora “animali” di questo genere, è proprio la loro “impronta”, la capacità di essere editori, se stessi.
La pubblicazione che celebra e ripercorre il mezzo secolo di editoria vuole trasmettere proprio questa idea e mostrare visivamente che la Adelphi come libro unico esiste realmente. Pur pubblicando molti e vari testi, ciò che li unisce è la forma editoriale che ha una sua identità visiva, testuale, tipografica. Il libro Adelphi è riconoscibile nella sua stessa esistenza libraria: misure, colori, materiali, copertine. Probabilmente esiste anche un “lettore Adelphi”, un pubblico che si sente parte stessa della casa editrice proprio in quanto destinatario della lettura di quei libri che vogliono essere “libri unici”. Tuttavia, la forma a cui fa riferimento Calasso non riguarda, naturalmente, solo l’arte tipografica ma anche – per usare una parola di cui si abusa – la filosofia dell’editore.
Calasso prova a illustrare questa filosofia nel primo saggio de L’impronta dell’editore intitolato “I libri unici”. Cosa sono? Non sono libri unici nel numero, anche se a volte lo sono, nel senso che di quell’autore è stato pubblicato un solo libro e nulla più, proprio perché quell’autore si è fatto scrittore una sola volta; sono invece libri unici quei libri in cui si riconosce che all’autore “è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in uno scritto”. Insomma, alla base del libro unico c’è un’esperienza significativa, qualcosa che dice qualcosa. Questa è la forma che Adelphi in cinquant’anni ha provato a ricercare. Esiste, però, un modo più chiaro per dire cosa sia la Adelphi: una casa editrice che con le sue pubblicazioni mette in luce i limiti della modernità. C’è un passo indicativo del saggio di Calasso che è merita attenzione. Lo si trova verso la fine dello scritto, quando si parla della fede e del religioso e si osserva: “Arrivati a questo punto, dovrebbe essere chiaro che il religioso, inteso in questa accezione dei suoi due termini indispensabili – conoscenza e fede (la sraddha) -, investe ogni angolo della nostra esperienza, poiché in ogni angolo della nostra esperienza noi siamo in contatto con cose che sfuggono al controllo del nostro io – e proprio nell’ambito di ciò che è al di là del nostro controllo si trova quel che per noi è più importante ed essenziale. E’ questa in fondo la ragione per cui i libri che sinora ho menzionato sono stati pubblicati da Adelphi”. Per rendere solo un po’ più laico e razionale o misurato o meno misterico ciò che dice Calasso si può aggiungere che noi stessi siamo un misto di controllo e abbandono e la vita umana è il tentativo di raggiungere un equilibrio. I libri Adelphi – e qui non ne ho citato neanche mezzo pur citandoli di fatto tutti – hanno questa esperienza di fondo in cui il controllo mette capo all’abbandono e l’abbandono ritorna al controllo creando così l’occasione di comprendere e approfondire la modernità.