Alla fine del secolo scorso scrissi un articolo sul giornale che dirigevo e lo intitolai più o meno così: Il gattopardo beneventano. Quell’articolo lo posso riscrivere. Non è cambiato nulla. Siamo passati dal mastellismo berlusconiano al berlusconismo mastelliano. Le uniche differenze non sono costituite dai fatti ma dalle parole o – siccome le parole hanno una loro bella dignità e sono tra noi leggere, come diceva una brava scrittrice italiana -, meglio, dagli slogan. Clemente Mastella non ha mai preteso di non essere democristiano e, al contrario, lo ha rivendicato con orgoglio e forza. Il suo limite era la sua forza clientelare: i mastelliani. Nunzia De Girolamo, invece, è una nemica giurata del clientelismo, del familismo, dell’assistenzialismo e crede che in Italia ci sia bisogno di una rivoluzione liberale e le sue parole di battaglia sono libertà, responsabilità, merito. Il problema del nostro tempo è proprio questo: le battaglie sono parole. Ecco perché il mastellismo di ieri era migliore del mastellismo sotto mentite spoglie di oggi o, se volete, il berlusconismo mastelliano di oggi è peggiore del mastellismo berlusconiano di ieri.
Era da tempo che le voci ricorrevano e dicevano che al ministero delle Politiche agricole stavano per arrivare nomine qua e là e qua e là i nomi sarebbero stati riconducibili alla ministra. Io non ci ho mai creduto perché non do credito alle malelingue. Ora uno dei nominati o, forse, l’unico, non so di preciso – in questa storia non è facile avere notizie – ha rilasciato una gustosa intervista ad Angelo Agrippa del Corriere del Mezzogiorno. La riporto senza togliere una virgola.
La notizia della nomina del commercialista beneventano Antonio Tozzi quale direttore generale di Sin – una società che fa capo alla Agea che a sua volta è l’agenzia del ministero per le erogazioni finanziarie – è stata accolta tra polemiche e forti critiche. Lui, il nominato, cosa dice? “Anzitutto non erano richiesti requisiti particolari per l’incarico alla Sin. E’ sufficiente una laurea, poi io sono stato commissario liquidatore e amministratore di alcune aziende. Dunque, sono in piena regola. Poi, se mi accorgerò che quel lavoro non fa per me, sarò pronto a dimettermi. Insomma, è da un anno e mezzo che il posto di direttore generale di Sin era vacante”.
Dottor Tozzi, aspettavano lei?
“Non dico questo, ma la mia nomina è stata fatta da Agea che detiene il 51 per cento di Sin, non dal ministro”.
Mettiamola così: se lei non fosse stato il capo della segreteria della ministra sarebbe stato nominato a capo di Sin?
“Ma con la mia nomina è stato tagliato il compenso di 90mila euro”.
Ora quanto guadagnerà?
“Si è passati da 260mila a circa 150mila euro l’anno. Io non ho mai avuto incarichi politici in vita mia”.
Ma se è stato il capo della segreteria della ministra De Girolamo.
“Cosa c’entra? Io sono un vecchio amico di famiglia dei De Girolamo”.
Voterà almeno Pdl?
“E’ il minimo”.
Lo sa cosa deve fare alla Sin?
“C’è qualche criticità, occorre metterci le mani, incentivare il personale”.
E’ vero che la ministra, per le consulenze, si rivolge soprattutto al bacino sannita?
“Non è vero, sono l’unico sannita”.
Ne è sicuro?
“Sicurissimo, ci metto la mano sul fuoco”.
Io non aggiungo nulla. Mi limito a fare solo alcune considerazioni. La differenza tra il familismo mastelliano e i “vecchi amici di famiglia” che sono nominati alla guida di società ministeriali con rendite abbondantemente al di sopra dei 100mila euro è inesistente. Quando Nunzia De Girolamo fu nominata ministra delle Politiche agricole, a chi la criticava dissi: “Aspettate. Giudicatela dai fatti”. I fatti sono arrivati. Dopo sei mesi sappiamo che la politica della liberale De Girolamo è il mastellismo senza Mastella. Dall’agricoltura alla sanità.
Giuliano Ferrara ha definito Alfano e il suo gruppo “ministeriali”. Intende dire che nella loro idea di non far saltare il governo e garantire stabilità hanno in realtà fatto prevalere la conservazione dell’incarico ministeriale. La critica è velenosa ma ha in sé qualcosa di vero. Quel gruppo ministeriale riuscirà ad essere politicamente serio solo se sarà incisivo sulla politica fiscale, sul mercato del lavoro, sul welfare, sulla giustizia. Altrimenti, appunto, il parricidio sarà stato soltanto un colpo inferto al proprio leader nel momento in cui più debole era la sua leadership e più comoda la posizione dei ministeriali. Una politica dettata più dalla posizione che dai liberi convincimenti: i ministeriali avrebbero fatto la scelta moderata se non fossero stati al governo? Durante le giornate della crisi proprio la ministra De Girolamo disse di aver parlato con Berlusconi e aver chiesto rassicurazioni perché “non voglio ritrovarmi in un partito di destra”. Già, perché la ministra è moderata, almeno quando è al governo. E la sua battaglia è stata per l’affermazione dei valori moderati. Tra questi, evidentemente, bisognerà contemplare anche gli incarichi per “vecchi amici di famiglia”. L’agricoltura è davvero sfigata. Una volta il ministro dell’Agricoltura si chiamava Cavour.
E’ la solita e trita storia di quelli che si sono proclamati e si proclamano in Italia liberisti e meritocratici. Da Bossi a Tremonti ecc., per finire alla De Girolamo tutti facevano e fanno dichiarazioni infuocate in merito, per poi agire diversamente: In Italia tutti tengono famiglia e clienti.