La destra possibile vuole ricominciare dal Mezzogiorno. L’elettorato dell’ex Alleanza nazionale era in gran parte meridionale e faceva da contraltare all’altra forza territoriale del centrodestra messo in piedi da Silvio Berlusconi fin dal 1994: la Lega. Pasquale Viespoli ci crede e con lui ci credono Adriana Poli Bortone, Nello Musumeci, Gennaro Malgieri, Mario Landolfi, Silvano Moffa. L’idea è così semplice da poter essere perfino realizzabile: “Vogliamo il simbolo di An”. Questa in fondo è la richiesta avanzata nel convegno voluto proprio dall’ex sindaco di Benevento nella sua città. Oggi in Parlamento non c’è una rappresentanza di destra. Non era accaduto neanche dopo la seconda guerra mondiale quando il mondo dei vinti ebbe il suo simbolo e la sua forza politica organizzata che svolse tanto un ruolo di testimonianza e memoria quanto una funzione politica. Eppure, quella destra era identificata tutta con il fascismo e perciò stesso messa in fuorigioco. Oggi, invece, la destra – fino a quando si riuscirà a tener vivo un barlume di democrazia dell’alternanza – è parte del gioco politico ed è pienamente legittimata. Dunque, ieri che era impossibile c’era, oggi che è possibile non c’è. E’ assente la sua rappresentanza ma è presente – e non potrebbe essere diversamente – la sua esistenza sociale che rifluisce in altri partiti e movimenti e nell’astensionismo. Ma se ci fosse una possibilità di rappresentanza la destra potrebbe ridiventare autonoma.
Il convegno beneventano è giunto in un particolare momento politico che ha visto la fine della leadership di Berlusconi e la realizzazione dell’autonomia del governo Letta rispetto all’ala del Pdl più realista del re. La stabilità è stata assicurata ma i movimenti elettorali e sociali che fanno capo al Pdl e al M5S già sono in atto. Sono stati documentati da Renato Mannheimer in un suo sondaggio per Linkista in cui si evidenzia che gli elettori di riferimento del movimento berlusconiano e del movimento grillino sono divisi. In quegli elettorati divisi c’è buona parte dell’elettorato della fu Alleanza nazionale e se ci fosse una ricostruzione del partito a iniziare dal recupero del simbolo o di qualcosa di simile non è escluso che l’operazione potrebbe avere un suo effetto.
Ma per far cosa? I politici del convegno beneventano, come ha ricordato proprio lo stesso Musumeci, hanno avuto in sorte la ventura e l’onore di trasportare la destra italiana dall’esclusione all’inclusione fino a metter su una classe dirigente che è giunta al governo degli enti locali e dell’esecutivo nazionale. Il passaggio è stato così rapido e repentino che la stessa destra fu colta di sorpresa e An nacque dopo e non prima l’approdo al governo. Chi, dunque, oggi propone di rifare la destra non è nuovo all’esperienza sia politica sia di governo e – per dirla tutta – non è estraneo al fallimento della ventennale cavalcata berlusconiana. Non lo dico per incolpare – perché la individuazione delle colpe non è nello stile di chi scrive – ma per capire. Rifare il già fatto e il già visto e già finito non ha senso. Sarebbe una replica della storia e le repliche storiche, nel migliore dei casi, lasciano il tempo che trovano.
L’opera che Viespoli, con passione e ragione, porta avanti è ammirevole. Il suo sforzo è soprattutto concentrato sulla buona ricostruzione storica di quanto accaduto. Sa bene, per la sua appartenenza al mondo dei vinti, quanto sia prezioso il lavoro di comprensione dei fatti accaduti. Una buona politica è quasi sempre il frutto di una buona memoria. E non c’è dubbio che il ventennio berlusconiano vada ricostruito per essere effettivamente compreso e non peccare una seconda volta contro la storia italiana addossando le responsabilità dei molteplici fallimenti sulle spalle di un solo uomo: il Cavaliere. Ma questa opera di anamnesi va fatta anche per la stessa destra in senso stretto: ossia per Alleanza nazionale. Quale è stato realmente il suo contributo di governo? E’ questo un problema che si pone oggi a chi vuole rifare la destra. Venerdì al convegno beneventano ho ascoltato ancora una volta un bel po’ di retorica anticapitalista e mediterranea. La destra ha una sua possibilità di essere se fa sua l’idea di una decisiva riforma del lavoro e del suo mercato e se rifiuta con nettezza l’idea anticapitalista di opporre il lavoro al capitale. Il rilancio dell’Italia passerà, lo si voglia o no, attraverso una crisi sociale che avrà anche costi umani e che sono il frutto contemporaneo delle politiche di spesa clientelare del passato. La destra deve mettere da parte la retorica e rappresentare questa storia che è la via della crescita per le nuove generazioni. Oppure sarà superflua e si adatterà ad essere un satellite democristiano e la stagione berlusconiana resterà l’unico suo momento di rivalsa per quanto veloce e declinante come una meteora.