Angelino Alfano era considerato il figlio politico di Silvio Berlusconi. Quando il Cavaliere incontrò il padre di Angelino gli disse che il suo figlioccio lo considerava un po’ anche figlio suo. Un figlio politico, appunto. Oggi quel figlio ha ucciso il padre. Alfano, vicepresidente del Consiglio e segretario del Pdl, ha commesso il parricidio che nella vita e in politica prima o poi bisogna commettere per poter crescere. Il parricidio berlusconiano è arrivato tardi, molto tardi, troppo tardi – nel momento più drammatico della vita politica e personale di Berlusconi che non è stato all’altezza del “suo” dramma politico-giudiziario – ma alla fine è arrivato. Alfano, in circostanze più drammatiche rispetto al passato, sembra riuscire là dove fallì Gianfranco Fini.
Berlusconi con irresponsabilità ha provato a uccidere il governo di larghe intese o di unità nazionale che lui stesso con responsabilità aveva fatto nascere. Attraverso una crisi di governo ha imboccato la strada pericolosissima di una crisi istituzionale che esporrebbe l’Italia ad una deriva greca capace di esportare la sua instabilità in Europa. Il padre e padrone del centrodestra italiano ha cercato una sorta di “nuovo inizio” o una nuova avventura politica che avrebbe trascinato l’intero Paese nell’avventurismo. Ma la crisi di governo e la pericolosa crisi istituzionale si sono trasformate nella crisi del partito berlusconiano e l’ultima generazione dei berlusconiani, quelli più fedeli al Capo, hanno alla fine trovato la forza di uccidere il loro padre.
La giornata di oggi – mentre scrivo è ancora in corso a Palazzo Grazioli un nuovo vertice – è stata la più dura e dolorosa per Berlusconi. Ancora non è finita e ancora non si sa come andrà a finire: con una scissione, con la nascita di nuovi gruppi parlamentari, con un nuovo partito berlusconiano con la “discesa in campo” di Marina Berlusconi. Ma, qualunque sia il finale di partita, non si può tornare indietro. Qui finisce la storia della leadership di Berlusconi.
Cosa nascerà lo scopriremo solo vivendo. Alcune cose, però, si possono dire. La prima, che tutti ma proprio tutti dovrebbero augurarsi, a destra e a sinistra, è questa: non considerare né trasformare la fine politica del Capo in un capro espiatorio in cui tutti diventano buoni e lui, il Capo prima osannato, diventa l’unico cattivo nonché responsabile dei mali italiani. In Italia la sindrome di Piazzale Loreto è sempre attuale perché è sempre molto comodo addossare su uno solo le colpe di tutti. Ma è proprio quanto deve essere evitato, altrimenti il parricidio sarà soltanto un cinico tradimento e una somma ingiustizia.
La seconda: i casi giudiziari di Berlusconi non sono un problema personale ma un dramma nazionale. Berlusconi è oggi il “luogo” politico e umano in cui il dramma si concretizza fino ad arrivare a schiacciare la persona e far implodere il partito. La colpa di Berlusconi, se di colpa vogliamo parlare, è quella di non essere stato all’altezza di questo dramma. Non ha caricato su di sé il peso dell’ingiustizia della violenza politica camuffata da diritto. Si è ribellato a questo destino che anche lui ha contribuito a costruire fino ad arrivare al punto di pagare tutto di persona. Sarebbe un grave errore considerare questa solo una storia personale: è una storia, invece, che riguarda la vita della democrazia italiana nella sua stessa essenza che ha invertito il necessario ordine tra giustizia e libertà. Alfano che si è detto “diversamente berlusconiano” farà bene a non dimenticarlo. Da qui dipende la qualità del suo parricidio.