Sono convinto che Napoli sia una città condannata alla disperazione. Una maledizione ne scandisce il fluire dei giorni. E’ come se il padreterno nel crearla dopo averla baciata donandole: bellezza, storia, arte, cultura, ironia, inventiva, sistematicamente le nega la felicità. Contraddizioni, vizi, ruberie, camurria ne segnano il destino costringendo un popolo, poco avvezzo alle rivoluzioni, ad attaccare l’asino dove desidera il padrone. Da queste parti tutto diventa complicato, complesso, straordinario e anomalo.
E’ come se nell’aria ci fosse un virus: lo respiri, lo inoculi e ne sei, irrimediabilmente, infetto. Sembra un paradosso e infatti lo è. A Napoli tutto si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Lo so: sarò criticato anzi surclassato. In molti mi gireranno la faccia e mi toglieranno il saluto. Ahimè me ne farò una ragione.
L’argomento è spinoso: l’anticamorra. All’ombra dei clan, delle cosche, delle famiglie malavitose c’è un esercito di “professionisti della legalità” che prospera. Non si capisce di cosa campano. Sta di fatto che hanno entrature in Enti, Istituzioni, Fondazioni. Volti noti e stagionati che negli anni hanno costruito un vero e proprio monopolio dell’industria anticlan. Laddove non gestiscono direttamente progetti o convenzioni (caso raro) impongono il proprio arruolamento come testimonial. Rappresentano il presunto bollino di qualità, il lasciapassare, il timbro della reputazione senza il quale la burocrazia amica dirà sempre di “no”.
E’ la “lobby del bene” che in Campania, e in particolar modo a Napoli, s’ingrassa. Ci sono storie e storie. Non è un venticello ma un puzzo da eterno compromesso. Non c’è né etica, né principi. Non è importante chi siede nelle istituzioni perché le istituzioni sono istituzioni e anche gli affari sono affari. Insomma se alla Provincia di Napoli c’è un Luigi Cesaro alias Giggino a’ purpetta, alla Regione Campania gli amici di Nicola Cosentino o a Casal di Principe c’è un sindaco e una giunta in odore di camorra nulla vieta di fare progetti, accordi e trattative private nel nome – chiaramente – della legalità.
Basta comiziare, filastroccare, incollare un po’ di Vangelo, qualche citazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, distribuire onorificenze e targhe ricordo e il gioco è fatto per i “professionisti dell’applauso facile”. Apparire contro la camorra dà prestigio sociale, parlare di lotta all’illegalità diventa uno straordinario veicolo di mobilità di potere e di prestigio sociale. Le agende si gonfiano di numeri, si guadagna stima istituzionale, si coltivano amicizie di un certo livello che al momento giusto si sfruttano e come se non si sfruttano.
Non c’è da sorprendersi, se nell’industria dell’anticamorra non c’è trasparenza. Si parla in codice e si scrivono pizzini. I rapporti sono rigorosamente fiduciari e discrezionali. Attraverso loro altri faranno carriera. Sono mondi che si tengono tra loro. E’ un sottobosco di poteri. Dicevamo non c’è iniziativa che non passi per i “professionisti dal progetto facile”. Questi signori sono abili e bravi nel prosciugare in regime monopolistico o con proprie sponde ingenti risorse pubbliche in nome della legalità. Si sentono profeti. Assegnatari di una missione di salvezza. Testimoni dei destini di una collettività. Mentre pontificano e benedicono consumano i pennarelli per aggiornare i loro assetti e appuntare i nomi delle teste di legno.
I comparti d’interesse sono molteplici: si va dai beni confiscati, ai progetti per la legalità, ai Pon per le attività formative nelle scuole, ai master su criminalità e beni confiscati, ai finanziamenti europei e privati. Una “lobby del bene” che – in molti casi – riesce a condizionare le pubbliche amministrazioni trasformando atti deliberativi in perfetti vestiti sartoriali. E come funghi spuntano associazioni, cooperative, consorzi, società, Ati, onlus. All’occorrenza negli armadi spuntano scatole vuote e sigle di comodo pronte all’uso. Che ne so: se c’è un bene appena confiscato da prendere in custodia attraverso buoni uffici bisogna avere un progetto già operativo nel cassetto.
Un’industria, quella dell’anticamorra pronta a fare del bene, il loro, e spillare convenzioni dirette, protocolli d’intesa, finanziamenti esorbitanti (senza bandi e controllo pubblico), gestione dei beni confiscati con svariate e fantasiose attività, sportelli, centri di documentazione, biblioteche, festival, manifestazioni, anniversari, monumenti alla memoria tutto chiaramente in nome e per conto della legalità. Del resto la lotta alla camorra e alla sua cultura dev’essere un impegno quotidiano. Non solo interessi di parte ma sopratutto clientele dei soliti amici : i vecchi e i nuovi. Sì, perchè all’ombra della “lobby del bene” si concedono incarichi, contratti, consulenze, chiamate dirette e distacchi retribuiti. Una cinghia di trasmissione del potere che per osmosi accoglie e smista segnalazioni di questo e quel politico che poi si attiverà per l’inserimento di un codicillo o la scrittura di un bando ad hoc. Il tutto a buon rendere.
E’ bastato che il Comune di Napoli, in particolare l’assessorato ai Giovani, bandisse un avviso pubblico (no la solita telecomandata trattativa privata) rivolta ad associazioni, gruppi informali, volontariato organizzato dal basso per assegnare dei beni confiscati attraverso una regolare, trasparente e rara graduatoria che si creasse verso la giunta presieduta dal sindaco Luigi De Magistris un vero e proprio fuoco di fila.
Cosa dire, cosa aggiungere per ora nulla. Il timore è serio. Adesso oltre a liberarci dai clan della camorra dobbiamo difenderci e liberarci dalle “lobby dell’anticamorra”.
(tratto dal blog de il Fatto Quotidiano)