Gli articoli raccolti in questo libretto hanno in comune l’idea della fine. Le cose umane sono fatte così: finiscono. Nel secolo scorso si è temuto per la “fine della civiltà” mentre oggi le “fini” si sprecano: la fine della letteratura, la fine del teatro, la fine della politica, la fine della storia. La tecnica corrode pensiero e azione e genera “fini”. Sono temi importanti, non lo nego. Ma in queste pagine si parla in modo più comune e più preciso della fine del bar sport: di un luogo particolare, di un tempo definito, di uomini e cose della vecchia Italia che rappresentavano un certo modo di essere e di vivere che ora non c’è più. Se le cose non finissero, la storia – che è fatta di “morte stagioni” e della “presente e viva” e del “suon di lei” – propriamente non sarebbe, ma quando le stagioni tramontano davanti ai nostri occhi ci si trova in una strana condizione in cui si sa cosa si era ma non si sa cosa si sarà. Mi pare che sia questo il nostro caso. La fine del Bar Sport intende cogliere il momento del passaggio in cui spuntano i frutti fuori stagione.
Il frutto fuori stagione può essere di due specie: uno che appartiene al passato e uno che appartiene al futuro. Il primo è un frutto maturo e si chiama testimone. Il secondo è un frutto prematuro e si chiama pioniere. Nella storia c’è bisogno di entrambi. In giro, però, non scorgo né testimoni né pionieri e vedo, invece, molti esemplari di un terzo tipo di frutto fuori stagione: il prodotto congelato. Sono in molti a non rassegnarsi alla fine di un’epoca ed a pensare di essere un frutto buono per ogni stagione. Sbagliano. Perché come ogni stagione ha i suoi frutti e non c’è una stagione in cui ci siano tutti i frutti, così la storia ha le sue epoche e non c’è una storia in cui ci siano tutte le epoche. Sono pochi gli uomini capaci di interpretare più ruoli, tra loro in contrasto, in più periodi. Vi riuscì il grande Talleyrand ma, appunto, era un altro tempo.
La caratteristica del nostro tempo è la velocità. Tutto cambia rapidamente. L’Italia, in verità, è immobile. Si è rivelato un Paese non riformabile. Tuttavia, il cambiamento c’è stato e quando è arrivato ha colto tutti di sorpresa: i vecchi e i giovani. Così oggi l’anagrafe non è un buon criterio per capire chi è in e chi è out: si può essere giovani e in fuorigioco, come si può essere vecchi e in partita. Il presidente della Repubblica ha quasi novant’anni ma è attivamente in campo, mentre ci sono ormai ex uomini politici che pur nati due generazioni dopo quella di Napolitano sono alla fine del viale del tramonto. La gioventù bruciata non è più soltanto quella di James Dean. La velocità dei cambiamenti del nostro tempo brucia in una sola fiamma più generazioni o, meglio, uomini e donne di più generazioni: chi era dentro si ritrova fuori e chi era fuori si ritrova dentro. E’ un disagio ma anche un’opportunità. Una vita può vivere più vite. A patto di non diventare quel terzo tipo di frutto fuori stagione che è la veste contemporanea del vecchio trasformismo.
(dall’Introduzione – forse – al volumetto La fine del Bar Sport di prossima uscita nella collana I Libri di Sanniopress)