L’ultima partita sul campo di calcio della mia Sant’Agata dei Goti fu giocata in una fredda domenica di febbraio del 1987. Poi, più nulla. Il vuoto. Una grande tradizione di calcio, pallone, scarpette, sudore e tanta, tanta passione fu spazzata via. Quel campo, che ricordo nei minimi dettagli per le tante ore di passione che vi ho trascorso, aveva un glorioso passato alle spalle. Si cominciò a giocare nell’immediato dopoguerra nel campo sterrato tra il Castello, l’Annunziata e San Menna per poi spostarsi in questo grande e regolamentare campo sportivo con la leva calcistica degli anni Quaranta che riuscì a disputare il campionato di serie D. La storia calcistica santagatese è, forse, l’espressione più bella della Sant’Agata dei Goti moderna. Avrebbe meritato più rispetto. Invece, in quei tristi anni del post-terremoto gli uomini divennero ciechi e stolti. Quando si giocò l’ultima partita, sul campo già incombeva come un gigantesco mostro ferrigno la Gru. L’Impresa spazzò via, con il vento gelido di febbraio, l’impresa calcistica. “Lasciateci il campo, faremo una bella piazza e vi daremo un campo più bello” dissero. Nessuno rispose alla disordinata politica del tempo ciò che andava risposto: “Prima si fa il nuovo campo e poi si lascia il vecchio, come nessuno lascia la casa vecchia se non ha la casa nuova”. Sono passati 27 anni. Il vecchio campo non c’è più. Il nuovo campo non c’è mai stato. Centinaia di ragazzi santagatesi non sanno, come sapevano i loro padri, cosa voglia dire avere un campo sportivo al centro del paese.
L’ultima partita fu giocata tra l’Alba Sant’Agata e il Casalnuovo. Si giocava per il campionato di seconda categoria. Vincemmo 3 a 1. Segnarono: Nicola Parricelli detto Nizzulone, Antonio Icolari detto Ferracione e, su rigore, il “vecchietto” Enrico Prota che ha speso una vita forse due per il calcio e non ho mai visto vestito con giacca e pantaloni ma solo e sempre in tuta e scarpe sportive, come se fosse eternamente pronto a entrare in campo. In porta c’era Tonino Violante detto Zinetti dal nome del portiere del Bologna che ricordava nello stile. Quella domenica Zinetti tra i pali era un po’ alticcio: “Ricordo che mio padre aveva portato un vinello rosato e siccome era una giornata fredda ne buttai giù un po’ in più per non avvertire il gelo”. Quella domenica Zinetti aveva ai piedi le scarpette migliori, quelle buone, appunto, per la domenica, mentre le altre, consumate e malandate, le calzava per gli allenamenti. Sugli spalti c’era il pienone. Ottocento persone, forse mille. Tutte lì per il rito domenicale della partita di pallone. Tutti lì per l’ultima partita. Tutti lì per i cori domenicali che riecheggiavano dal Ponte al Pennino. Poi, più nulla. Il silenzio. Con il fischio del vento che smuoveva la solitaria Gru.
A fine campionato l’Alba arrivò seconda. Quella squadra aveva un grande significato perché era il frutto delle giovanili. Sembra incredibile, ma c’è stato un tempo in cui a Sant’Agata dei Goti c’era la prima squadra – la squadra dei grandi – e la seconda squadra, quella dei giovani. A metà degli anni Ottanta, con il campionato di Promozione, si esaurì un ciclo e si ricominciò daccapo. Ma non da zero. C’era una tradizione. Il presidente dell’Alba era Angelo Amorizzo, mentre Guido Virelli svolgeva compiti di segreteria. I giovani, guidati in campo da Enrico Prota e in panchina da Salvatore Augliese, diventarono la prima squadra per un campionato esaltante. Terzino destro era il roccioso Gianni Ferrara, a sinistra c’era Sergio Della Ratta detto Ticulone, ossia grande tegola, per il tiro e il rinvio che andava su per i tetti (che soprannome fantastico). Gerardo Cice, ennesimo giocatore di una grande famiglia di calciatori, giocava da mediano: ottimo tocco di palla, ma un po’ lento. Stopper – nessuno più dice stopper, che idioti – l’esordiente Oreste Viola. Il libero era Vincenzo Del Tufo che nel fisico ricordava Agostino Di Bartolomei e ancora oggi ha un portamento che sembra essere a guardia di qualcosa. A centrocampo c’era Bruno Ruggiano, calciatore di rara eleganza, in campo e fuori dal campo. Nell’ambito ruolo di centravanti giocava Salvatore Razzano. Ala destra era Paolo De Masi, basso di statura ma rapidissimo di gambe, a sinistra Tonino Piscitelli detto ‘u lupinaro. E non pochi furono i lupini rifilati alle squadre avversarie.
Salvatore Augliese, altro giocatore di una famiglia di calciatori, era l’allenatore clandestino. Perché contemporaneamente sedeva anche sulla panchina dell’Arienzo. L’ubiquità o forse sentirsi un po’ come il Padreterno, uno e trino, è stato sempre il dono di Mister Augliese. Una volta allenava la squadra di Guardia Sanframondi e contemporaneamente e di stramacchia i Goti. Quando le due squadre si affrontarono, Salvatore nell’intervallo dettò mosse e schemi prima in uno spogliatoio e poi nell’altro. Se disse qualcosa di sensato a qualcuno sarà per sempre un mistero. Cose che potevano accadere solo allora e solo a chi era mosso da una passione calcistica smodata come Salvatore Augliese che, in fondo, anche quando giocava era una sorta di jolly: era un po’ ovunque occorresse. L’allenatore, però, non faceva solo l’allenatore. Salvatore aveva una Regata. Ricordate la Regata? L’auto della Fiat che quando uscì fu proposta con una pubblicità che decantandone le lodi diceva così: “Sì, sì, sì, sì: Regata, una macchina piena di sì” e gli Squallor ne fecero una parodia delle loro mettendone in luce i difetti: “Regata, ‘na machin’ chien’ ‘e merda”. Ma la Regata di Salvatore era piena di palloni che servivano per gli allenamenti. C’era anche una strana rete che, legata dietro l’auto, serviva con una strana tecnica a livellare il campo da gioco che a volte risultava, per la non sempre possibile manutenzione, sconnesso. Per poter giocare a pallone si faceva di tutto.
L’Alba aveva una maglia bianca con strisce rosse. Colori che richiamavano lo stemma comunale. Colori mai traditi. Almeno sul campo di calcio. Per riavere un signor campo sportivo e giocare ancora una volta a pallone bisogna ritrovare nella storia e nell’anima quei colori.