Gli ultimi tre allenatori del Napoli stanno tra loro come una sintesi hegeliana. In origine fu l’ex milanista Donadoni che predicava ma non riusciva a praticare un calcio giocato. Quindi venne l’illuminista Mazzarri con la sua idea fissa – “otto secondi sono sufficienti per segnare” – e costruì una macchina da calcio in cui si esprimeva al meglio la volontà di potenza del Matador. Ora è il momento di Benitez che ha il compito di unire ed elevare i primi due giochi in un terzo che lui stesso ha già espresso così: “Il Napoli sarà la mia Spagna”. Qualcosa di simile al gioco del Barcellona di Messi e – quando c’era – di Guardiola sta per sbarcare sotto il Vesuvio? Ci sperano in tanti. Il calcio spagnolo è un modello vincente perché fondendo in sé il palleggio sudamericano e il pressing europeo è allo contempo antico e moderno.
Nel ritiro di Dimaro, Rafa Benitez ha subito cambiato metodo di allenamento. Se prima c’era più atletica e meno palla ora c’è più palleggio e meno atletica. Almeno in apparenza. L’ottanta per cento del lavoro si fa palla al piede. I giocatori, da Insigne a Hamisk al nuovo acquisto Callejon, apprezzano e si capisce: perché un giocatore vuole prima di tutto giocare. Così palla al piede hanno l’impressione di faticare meno mentre, in realtà, svolgono allo stesso tempo un lavoro tecnico e atletico. La differenza rispetto a Mazzarri è che ora serve più qualità. Le richieste di Benitez a De Laurentiis vanno tutte in questa direzione. Per giocare alla spagnola bisogna prima di tutto aumentare il possesso palla e farla girare. Quando l’altro giorno ho incontrato a Pesaro una grande “vecchia gloria” del Napoli, Josè Altafini, gli ho chiesto: “Ma cos’è il buon calcio?”. Mi ha risposto lapidario: “Piedi buoni”. Quei sessanta milioni e passa della cessione di Cavani vanno spesi per trovare “piedi buoni”. “Il calcio – amava ripetere Cruyff – è due cose: saper passare e saper ricevere la palla”. Senza questi “fondamentali” non si può giocare il tiqui taca.
Perché, in fondo in fondo, una squadra vincente è sempre una squadra fatta di piedi buoni. Prendete le squadre di Nereo Rocco: praticavano il cosiddetto gioco all’italiana o catenaccio ma in realtà erano squadre composte da giocatori dai piedi sopraffini: Mora, Pivatelli, Rivera, Altafini e poi Hamrim, Sormani, Prati. Lo stesso Rocco non è un difensivista ma l’inventore del calcio moderno perché inventa la difesa a quattro con i terzini e i due centrali. Ora che cos’è il tiqui taca di Guardiola se non il catenaccio di Rocco spostato di cinquanta metri? Guardiola ha portato il pressing non a centrocampo ma a ridosso dell’area di rigore avversaria, ha accorciato la squadra lasciandole un gran vuoto dietro le spalle, ha portato attaccanti, centrocampisti e persino difensori a pressare i difensori avversari costringendo le due squadre a giocare in una sola metà campo con il portiere del Barcellona che nella sua solitudine sembra il portiere di Umberto Saba. Sarà questo il gioco del Napoli spagnolo? Se sarà questo, allora, il gioco di Mazzarri sarà superato: il Napoli di Mazzarri giocava per linee rette, era geometria e volontà, mentre il Napoli di Benitez sarà – se sarà – una curva che apre e chiude spazi in cerca della profondità. Un gioco che farà dimenticare l’assenza di Cavani. Nel Grande Barcellona di Pep Guardiola non c’è il centravanti. Qui il centravanti classico – qualcosa di simile a Ibrahimovic, per intenderci – non può giocare più. Quel centravanti anomalo che è Messi non gioca al centro dell’area di rigore avversaria. Lì, nel Barcellona, non gioca nessuno. Lì c’è un vuoto. Come se ci fosse un taglio di Fontana sulla tela, dice un po’ esagerando e un po’ ironizzando Mario Sconcerti. Non vi gioca nessuno perché quello spazio deve restare vuoto per consentire al giocatore al momento opportuno – il kairos, secondo i Greci – di inserirsi e chiudere in rete la profondità dell’azione. Il giocatore che si inserisce è imbeccato ossia servito dai compagni e deve mettere la palla dentro. La squadra che ha di fatto ucciso il centravanti è la stessa squadra che lo fa rinascere ogni volta. In questo esercizio dovrà dimostrare di essere bravo il Napoli di Benitez.