Come ha ricordato Giancristiano Desiderio, “Ruggero Guarini aveva origini sannite. La sua famiglia aveva proprietà a Cerreto Sannita e lui stesso, ogni tanto, faceva un salto nel paese in cui visse soprattutto nel tempo della sua fanciullezza e adolescenza durante la guerra”. Ecco una bellissima testimonianza della sua esperienza giovanile a Cerreto Sannita, pubblicata alcuni anni fa dal Corriere del Mezzogiorno con il titolo “Mentre bombardavano la città di Napoli, scoprii l’esistenza dell’amore accidentato” (b.n.).
Apprendendo della morte di una signora della mia età, che conobbi quando eravamo entrambi due bambini, e per la quale allora presi subito una terribile scuffia, ma che non avevo più visto da molti anni, sono tornato a stupirmi dell’intensità di quella mia infatuazione, nonché del modo in cui, in quegli stessi giorni, frequentando quella ragazzina, scoprii certi lati oscuri dell’amore.
Accadde nell’estate del ’42, a Cerreto Sannita, dove mia madre, mio fratello e io, a causa dei bombardamenti che avevano incominciato ad abbattersi sulla città, ci eravamo trasferiti sistemandoci in alcune delle tante stanze del palazzetto dei nonni.
Cerreto in quei mesi si riempì di «sfollati» come noi, famiglie quasi tutte benestanti e spesso ricche che a volte avevano scelto di rifugiarsi lì perché vi possedevano dei poderi o delle case, sicché dal loro arrivo il paese ricavò non pochi vantaggi, diventando in breve tempo movimentato e gaio come un luogo di villeggiatura alla moda.
Di alcune di quelle famiglie facevano parte due signore amiche di mia madre e furono proprio loro a farmi, senza volerlo, scoprire per la prima volta l’esistenza di un aspetto del fenomeno amoroso che mi turbò parecchio.
Quelle due signore erano la madre e la zia della bambina di cui m’invaghii, che a me sembrò subito incantevole, e di un suo fratellino piuttosto bruttarello e dispettoso.
Di loro diventai presto amico e spesso andavo a trovarli, per giocarci insieme, nella bella dimora patrizia in cui abitavano.
Quella scoperta la feci quando una mattina, cercando Gabriella (così si chiamava la mia amichetta) in certe stanze di quella casa, attraverso una porta socchiusa, vidi quelle due signore che, sedute seminude su un letto disfatto, si abbracciavano e baciavano sulla bocca molto appassionatamente.
Né quella fu la sola anomalia che potei fiutare in quel luogo.
Della stessa famiglia faceva parte una bella e giovane cugina della mamma dei miei amichetti che tutte le sere, dalla sua stanza in fondo all’appartamento, lanciava dei lunghi gemiti che si sentivano in tutta la casa, e che cessavano soltanto quando arrivava un distinto signore, che era il medico condotto del paese, con la borsa dei suoi attrezzi, contenente anche (come capii più tardi) delle fiale e una siringa.
In un’altra stanza, inoltre, si era sistemata una vecchia amica di quelle signore, una principessa abbastanza avvizzita e parecchio elegante che per tutto il giorno non faceva quasi altro che accarezzare e vezzeggiare una sua cagnetta.
Infine un cuginetto di quei miei amici, un bel ragazzino suppergiù undicenne anche lui, figlio della zia di Gabriella, quella che si sbaciucchiava con la mamma dei miei amichetti, incominciò a stupirmi per il singolare interesse che, quando vedeva mia madre, mostrava per le stoffe e il taglio dei suoi abiti.
Fu così che quell’estate, in pochi giorni, grazie ai chiarimenti che presto mi furono offerti da mio fratello quando gli parlai di quelle stranezze, appresi che esistevano le lesbiche, le morfinomani, le zoofile e i ricchioncelli nati. Del resto mi sembrava che anche quei due fratellini miei amici avessero qualche problema.
Lei, esprimendo arditamente con un paio di giovanotti del paese un suo precoce e malizioso temperamento, si era già fatta la fama di civettina; lui soffriva di un disturbo (l’abitudine di fare ancora pipì a letto, cosa che scoprii quando una sera mi avvidi che il materasso del suo lettino era protetto da un lenzuolino di tela cerata) che era, come avrei appreso più tardi, un sintomo evidente di una classica nevrosi infantile.
Comunque da quella casa un bel giorno, come se fossi stato un pericoloso sporcaccione capitato in un educandato, fui cacciato via con l’intimazione a non metterci più piede.
Per me fu un castigo inesplicabile. La cosa accadde perché il fratellino di Gabriella, avendomi sorpreso con lei nella stanza da bagno, ricattadomi con la minaccia di denunciarmi a sua madre, mi impose di leccare quell’incerata ancora umida; dopodiché, spifferò ugualmente la cosa.
Che strano, pensai: essere espulso come un precoce, temibile depravato da una casa in cui in pochi giorni avevo scoperto l’esistenza stessa di ben altri vizietti.
Ruggero Guarini