A chi mi chiede, con la consueta forma retorica – Come stai? Tutto bene? -, mi accorgo di rispondere sempre più spesso – in verità più a me stesso che all’interlocutore – che tutto bene non può andare perché se tutto andasse bene la vita, che è un impasto di bene e male, si arresterebbe e che, sì, sto bene e sono in lotta, anzi sto bene proprio perché la lotta continua. Giusto, dunque, il nome del giornale comunista e del movimento rivoluzionario extraparlamentare ma solo quello perché la lotta continua della vita si riferisce alla morale e non solo alla politica, giacché il nemico da contrastare e superare, e che in questa lotta quotidiana si conserva e ci dà vita, è dentro di noi, nel nostro stesso essere, non è un nemico esterno e giammai potrebbe essere un nemico di classe, secondo la erronea dottrina marxista.
La vita e la lotta si possono anche scambiar di posto perché l’una è l’altra. La vita umana, che con le opere si eleva e acquista senso, è frutto della lotta e senza lotta non ci sarebbe espressione alcuna di questa vita. In ogni cosa che pensiamo e facciamo, sempre che pensiamo e facciamo qualcosa, c’è la vita in lotta con se stessa. Ogni nostro atto, che non sia lo stare pancia all’aria nel godimento del benessere individuale, è il superamento di quell’ostacolo che è la nostra stessa esistenza che di ogni superamento fa una nuova materia da superare in altra forma. La buona azione non sarebbe se non si travagliasse nello scacciare il male e lo stesso retto pensare fronteggia i comodi e la modestia dei luoghi comuni, dei pregiudizi e delle vuote genericità con il giudicare i singoli fatti concreti nella loro sensata individualità. La vita espressiva, tanto nella critica quanto nell’azione, è figlia della lotta, figlia della irrequietezza e inquietudine e anche quello che chiamiamo riposo altro non è, in fondo, che una sosta essa stessa frutto della disciplina che ci siamo dati per esprimerci. Eduardo de Filippo, in una delle sue ultime apparizioni, disse: “Vulesse ‘nu poc’ ‘e pace, ma ‘na pace che non foss’ a morte”. Ma una pace senza morte è solo un modo di dire, una metafora che va presa per quel che è: un riposo per la continuità della lotta.
Perché questo disperato pessimismo? In verità, non c’è nessun pessimismo, né disperato né baldanzoso. C’è una visione tragica dell’esistenza che in quanto tale non è né ottimismo né pessimismo. La vita in lotta non ha tempo né per esaltarsi con l’ottimismo né per avvilirsi con il pessimismo perché il senso tragico dell’esistenza e del mondo che con essa cresce è nella lotta stessa o nella corsa dove ci pare di non giungere mai alla meta, proprio come dice il poeta Traversando la maremma toscana: “E sempre corsi, e mai non giunsi il fine”. La lotta continua è un concetto morale che riguarda la pienezza spirituale della vita e non è da confondersi con la lotta per la vita o con il detto volgare che dice “non mollare mai”. Anche l’egoista non molla mai e anche chi cura esclusivamente la sua “roba” non cede di un millimetro ma non per questo, però, l’egoista, che pur ha la sua ragion d’essere, supererà se stesso anzi, all’inverso, si chiuderà nella sua propria individuale vitalità che, invece, è proprio il male che ognuno di noi è e deve cercare di aprire ed elevare. Proprio lei, la vitalità, nelle sue varie forme, è la molla della lotta. Ecco perché il male non è superabile mai definitivamente e persino nella bene ne abbiamo il ricordo, perché ci accompagna sempre come l’ombra accompagna la luce. E’ vero, verissimo quanto diceva Croce che la vitalità è una terribile forza, per sé affatto amorale, che genera e divora gli uomini, è piacere e dolore, riso e pianto, che esalta l’uomo fino a farlo sentire un dio, e lo atterra e lo rende miserabile e vile. La lotta con la vitalità non è la lotta con gli altri ma con noi stessi e dura tutta la vita perché è la vita stessa fino alla fine. E nella storia forse da essa dipende, nel passaggio tra le generazioni, il cambio di epoca e stagione che si nutre delle vite che finiscono e delle vite che nascono con la loro vitalità “cruda e verde”. Anche se, a volte, i vivi sono morti e i morti sono vivi.