I filosofi hanno la testa nelle nuvole. Anzi, vivono nelle nuvole, lì dove Aristofane collocò Socrate creando così il più comune dei luoghi comuni: i filosofi non sono concreti e pensano a cose campate in aria come le mitiche Idee di Platone che Antonio Labriola paragonava a dei caciocavalli appesi. Poi accade, però, che un filosofo novantenne vada a Ballarò e parli con chiarezza e concretezza e un po’ tutti rimangano stupiti per l’abitudine a pensare i filosofi alla maniera di Aristofane. Quel filosofo è Aldo Masullo che è napoletano come il mio amico Giambattista Vico il quale diceva di non amare i “filosofi monastici” e preferire i “filosofi politici” che non si astraggono dalla vita e vi lottano con la pazienza e il rigore della passione per la verità storica. Che cosa ha detto Masullo? Che la realtà italiana è stata trasformata in spettacolo ossia in irrealtà e la politica piuttosto che vivere in un mondo reale, il mondo di quaggiù, vive (per interesse e in alcuni casi insipienza) in un mondo immaginario e immaginato, in pratica vive comodamente sulle nuvole. Il filosofo napoletano per mettere il mondo in ordine lo ha capovolto mostrando come i politici siano sulle nuvole e i filosofi sulla terra.
Vico è il grande filosofo dell’epoca moderna che crea La scienza nuova: la storia. Un’opera di capitale importanza, come sapeva quel vichiano del XX secolo che è stato Isaiah Berlin, un’opera che viene continuamente ripubblicata: ora la Bompiani ha raccolto in un solo volume la tre edizioni del 1725, 1730 e 1744. Per Cartesio la storia è il pettegolezzo della serva di Cicerone perché non si lascia ordinare in un mondo universalmente geometrico. Per Vico proprio il disordine e la resistenza della storia ad ogni riduzione scientifica ne rappresentano il valore e l’importanza per la vita umana e la civiltà. La storia esiste, non si deduce.
L’origine e il destino umano sono legati mani e piedi alla storia. L’inizio della storia si perde nella notte dei tempi e la notte dei tempi non è solo cronologica ma anche ideale. Al principio la storia è oscura, opaca, tenebrosa perché è sempre legata alla vitalità. All’inizio della storia c’è l’ingens sylva: gli uomini sono “bestioni erranti” per “la gran selva della terra”. Alla fine c’è un possibile ritorno nella “selva oscura” con una “barbarie della riflessione”: la moltitudine degli uomini che nelle città si isolano nella loro stessa folla e follia intellettualistica. Tra l’inizio e la fine c’è la storia umana che non è progresso armonico ma conflitto e cambiamento, caduta e risalita, lotta incessante per la vita civile. E’ proprio questa visione conflittuale e pluralistica a fare di Vico un pensatore utilissimo per capire il nostro mondo.
Per Vico la storia non è contrassegnata dal Progresso ma dal Cambiamento. La differenza è decisiva: nel primo caso si crede non solo nel progresso ma anche nell’idea di una società perfetta che mostra una umanità pacificata con se stessa in cui i valori ultimi possono essere tra loro coniugati e saldamente incastrati come le tessere di un puzzle che mostra la figura della verità; nel secondo caso, che è quello di Vico, si illustra invece l’impossibilità di questa concezione della storia perché alla base delle epoche ci sono esperienze diverse: cambiando le esperienze cambiano le società e le epoche. In questo modo l’idea stessa della perfezione o della convivenza di tutti i valori umani cade perché si mostra non difficile ma intimamente incoerente. Le culture e le epoche sono diverse perché si fondano su valori tra loro in conflitto. Vico è un filosofo antiutopista perché è antiutopica la stessa “storia ideal eterna” con i suoi cicli e periodi contrassegnati dal cambiamento dell’esperienza umana. Vico non è nemmeno un relativista, semmai è il padre o uno dei padri del pluralismo e ci insegna, come ha dimostrato Masullo a Ballarò, che i filosofi non vivono sulle nuvole ma nella storia in cui i politici raccontano favole.