Il giornalismo è un mestiere del secolo scorso. Il giornalismo è morto. Lo sanno tutti. Lo sanno i giornalisti ma non ne danno la notizia del decesso. Sono troppo impegnati a comunicare. Una volta si poteva dire che non c’è nulla di più vecchio del giornale del giorno prima. Questa verità, che destinava i fogli di giornale all’incartamento delle uova, dell’insalata e all’imbottitura delle scarpe e ad altri usi e costumi più utili e consoni al riciclo della carta stampata, è oggi diventata falsa. L’essenza più propria del giornalismo è la notizia nuova. Ma le notizie del giornale oggi sono già vecchie al momento della stampa. Non è più il giornale del giorno prima ad essere vecchio ma il giornale del giorno. Ciò che non è riuscito alla televisione è riuscito alla rete di internet: la comunicazione costante o in tempo reale.
Il destino del giornalismo è un po’ quello della fotografia. Sia il giornalismo sia la fotografia sono stati superati dalla tecnologia. Se il telefonino che ho in tasca scatta le fotografie, allora, non ho più bisogno del fotografo. Tutto il mondo della fotografia, che è durato un secolo esatto, si è estinto. Qualcuno dirà che si è trasformato. Ma è un eufemismo. E’ finito. Ciò che c’è è già un altro mestiere. Un’altra sensibilità. Altre generazioni. Altri occhi. Allo stesso modo: se il telefonino che ho in tasca mi invia ogni secondo notizie e informazioni, allora, non ho più bisogno dei giornali. Tutto il mondo del giornalismo, che è durato un secolo o poco meno o poco più, si è esaurito. Anche in questo caso si parla di trasformazione. E anche in questo caso è un eufemismo. E’ finito. Ciò che resta del giornalismo è un altro mestiere. Se tutti sono fotografi, il fotografo non esiste più. Se tutti sono giornalisti, il giornalista non esiste più.
La figura classica del giornalista, quello strano individuo che consumava le suola delle scarpe, che conosceva, ascoltava, raccoglieva notizie, andava in redazione, raccontava, scriveva, pubblicava, ecco questo tipo novecentesco è morto. Il suo lavoro è reso superfluo da quella che è stata chiamata la società delle telecomunicazioni o la società trasparente. La comunicazione in tempo reale rende vano il lavoro della raccolta delle notizie e perfino il sistema dell’industria delle notizie che è l’insieme delle testate giornalistiche. L’industria giornalistica si è liquefatta nel mondo post-industriale in cui l’informazione non è più un mezzo per un fine – cioè una notizia – ma un fine in sé. L’informazione è diventata perenne a tal punto da fagocitare in sé la stessa notizia. In altre parole, l’informazione si mangia le notizie, un po’ come Kronos – il Tempo – che divora i suoi figli – le Ore (che infatti hanno cessato da tempo le pubblicazioni). Nel paradosso del sistema dell’informazione che uccide le notizie annegandole nel mare magnum dell’indistinto rinasce l’esigenza del giornalismo. La società trasparente è un mito che finisce nella confusione, nell’oscurità e nell’oscurantismo camuffato da progresso. Si vede poco non solo per troppa poca luce, ma anche per troppa luce. Ma i giornalisti, che sono impegnati a comunicare, non sono più in grado di distinguere.
Caro Giancristiano, mi trovo perfettamente d’accordo con te sulla tua analisi critica delle sorti del giornalismo. Ma non posso dire altrettanto in merito alla fine della fotografia. È vero, la tecnologia ha profondamente cambiato questa arte; ma non l’ha né pensionata né rivoluzionata. Ed il bravo fotografo serve ancora. Basta farsi un giro su Instagram, il più popolare social network del momento dedicato alla fotografia, per capire quanto ciò è vero: le immagini di inutilità di ogni genere impazzano ed effettivamente ciò sembra lanciare il messaggio che i tempi sono cambiati, e che dalla fotografia come arte si è passati all’arte di catturare immagini a casaccio; ma non a caso moltissimi fotografi professionisti o semi-professionisti hanno scelto di essere presenti su Instagram, spesso non solo per ragioni di autopromozione.
Io che la fotografia la pratico, pur essendo un autodidatta senza alcuna pretesa di saperci fare, posso dire che anche quando si arriverà a scattare miliardi di fotografie al minuto in tutto il mondo rimarrà valida quella legge non scritta secondo la quale nessuna fotografia è uguale ad un’altra. E in questo si innesta la prospettiva di vita e di sopravvivenza della fotografia in un presente pur oggettivamente insidioso: ci sarà sempre spazio e bisogno della buona fotografia e dei bravi fotografi. Questi ultimi, a differenza dei giornalisti (bravi o meno), difficilmente rischiano di cadere vittime del loro stesso lavoro, fagocitati da esigenze di produzione. In fondo il fine ultimo di ogni arte, più o meno dichiarato, è quello di rappresentare la bellezza. E senza la bellezza, come disse Dostoevskij, l’uomo non potrebbe più vivere.
Ti saluto e ti abbraccio con affetto.