La notizia dell’attentato davanti Palazzo Chigi e gli spari contro due carabinieri l’ho appresa in diretta televisiva. Quasi in “tempo reale”. Stavo seguendo il giuramento del governo Letta su La7, con il commento noioso di Enrico Mentana, quando lo stesso “mitraglietta” ha dato la notizia degli spari in Piazza Colonna e utilizzando le telecamere che erano lì in servizio per riprendere l’arrivo dei neoministri per il primo Consiglio dei ministri ha fornito le prime immagini che mostravano agitazione intorno ai carabinieri feriti e poi sull’attentatore: Luigi Preiti. E’ stata una mattinata, già segnata la sera prima dall’uccisione dell’appuntato scelto Tiziano Della Ratta nella rapina a Maddaloni, di tranquilla follia domenicale. L’attentatore, segnato dalla vita, ha detto: “Volevo colpire i politici”. Ha colpito due carabinieri. Uno è grave e rischia di rimanere paralizzato per sempre. Nessuna crisi, grande o piccola che sia, sociale o esistenziale, giustifica il piombo. Sta di fatto che mentre il governo Letta giurava, un italiano sparava contro due carabinieri. I carabinieri sono in prima linea.
Ora ci sono gli scambi di accuse e si studia il “clima” sociale, politico, pubblicistico. Si individua nella violenza verbale il precedente e quasi la causa della violenza materiale. Le connessioni sono sbagliate ma il clima nel quale ha vissuto l’Italia per vent’anni è stato quello di una guerra civile virtuale che ha sulla coscienza morti reali. La storia della Seconda repubblica, ossia una stagione della vita italiana già post-ideologica, conta almeno due assassini brigatisti: Massimo D’Antona e Marco Biagi. Il primo durante il governo D’Alema, il secondo durante il governo Berlusconi. Erano due giuslavoristi la cui colpa era quella di lavorare per provare a riformare il mercato del lavoro. La crisi economica e sociale nella quale l’Italia si trova non è nata ieri. Il nostro è il Paese che in Europa non cresce da ben più di dieci anni. Mentre da venti anni, ossia da quando è venuta giù la Prima repubblica e si è avviata con la stagione di Tangentopoli la Seconda repubblica, è immerso in un clima politico e sociale contrassegnato dalla contrapposizione radicale e inconcludente. Queste sono le caratteristiche della Seconda repubblica che avrebbe dovuto darci una matura democrazia dell’alternanza: radicalità e inconcludenza.
Il governo Letta nasce su una “schema di gioco” che capovolge la radicalità dei venti anni bruciati alle nostre spalle. Dalla guerra alla pace. Ciò che rimane dei due principali partiti, che per due decenni hanno simulato una guerra civile, ha modificato strategia o sta cercando di farlo attraverso un governo politico – come giustamente ha voluto sottolineare il presidente Napolitano – che sostituirà lo scontro e l’odio con la collaborazione e la pace. Per questa sua caratteristica, il governo Letta è stato definito “governo di pacificazione”. Ma la pacificazione tra le parti politiche e nella società italiana potrà esserci se il governo non sarà inconcludente ma concreto, operoso e se i suoi ministri non coltiveranno ambizioni di carriera ma lavoreranno con accortezza e lungimiranza. Il settore nel quale si dovrà intervenire subito è il lavoro. Non in astratto o con grandi progetti e programmi di riforma. Non c’è più tempo per questa strada che è solo una certezza di fallimento. Servono scelte pratiche, immediate, mirate, operative. Tutto ciò che è astratto, burocratico, verboso va abbandonato perché è inconcludente e si presta solo alla propaganda che è il vero veicolo della decadenza italiana. Lo stile del governo Letta sarà fondamentale: se lavorerà con serietà senza avere preoccupazioni elettorali e di bottega partitica svolgerà un buon servizio pratico e culturale per il Paese, se si perderà nella febbre delle stupide dichiarazioni e nei salotti dei talk show sarà la fine.