Giorgio Napolitano è la coscienza italiana più vigile ed equilibrata che ci sia. Il suo discorso al Parlamento, nel giorno dell’inizio del suo secondo mandato al Quirinale, esprime prima di tutto la consapevolezza che l’unità dello Stato nazionale e la qualità democratica delle istituzioni sono i due punti di riferimento che non ci è dato perdere se non vogliamo perdere noi stessi. Un uomo di quasi novant’anni, al vertice della vita statale e nazionale, ha il compito oggi di indicare a quel che resta delle forze politiche organizzate la via del lavoro democratico per ridare vigore alle istituzioni e operare nell’interesse nazionale. Il suo equilibrio è una certezza di buon senso e la sua esperienza politica esprime una concretezza morale che le mille analisi economiche e sociali che si sentono ogni santo giorno non hanno neanche pallidamente alla lontana.
In questi giorni ne ho lette tante e sentite di peggiori. Tutti abbiamo assistito al cortocircuito del Pd. Il partito di Bersani ha cercato per cinquanta giorni un accordo con il movimento di Grillo. Quindi si è rivolto a quel Silvio Berlusconi definito “impresentabile” e che, se ne avesse avuto l’occasione, avrebbe volentieri spedito dietro le sbarre. In questa oscillazione irresponsabile e irrazionale è cresciuto prima il disorientamento degli elettori e poi la rabbia. Il Pd si era presentato in campagna elettorale come un sicurezza sulla quale investire. Invece, dopo il voto il Pd si è rivelato massimamente insicuro, un partito indeciso a tutto pur di salvaguardare i suoi interessi di parte e, addirittura, il tornaconto del proprio gruppo dirigente. Alla fine, come spesso accade, il particolare di un ristretto gruppo ha portato alla rovina tutto il partito.
Nella fine ingloriosa della Seconda repubblica, il Pd ha ancora una volta recitato la parte del partito moralmente superiore. In nome di questa supposta superiorità etica ha alimentato il suo antiberlusconismo cercando l’intesa con i grillini. L’idea era semplice e si basava su questo schema: “Mettiamoci d’accordo e facciamo fuori il Caimano”. Ma Grillo e i grillini non riconoscono al Pd, giustamente, nessuna superiorità morale. Il movimento antipolitico di Grillo ha come suo obiettivo la fine del sistema classico della rappresentanza parlamentare che ha tutti difetti di questo mondo ma che nella storia si è affermato con errori e correzioni come quello valido per dare un corpo politico-istituzionale alla vita delle nazioni europee. La colpa grave del Pd – la colpa che ne fa oggi una forza politica debole e priva di autorevolezza – è stata quella di non cercare subito un accordo con l’altra forza politica della Seconda repubblica per formare un governo di unità nazionale e intervenire con riforme serie sia sul piano sociale sia sul piano istituzionale. Colpa grave. Perché soffiando sul fuoco dell’odio verso Berlusconi e cercando un accordo con il movimento antiparlamentare di Grillo, il Pd ha rischiato di condurre la politica fuori dalla strada delle istituzioni. Il Pd con queste sue scelte scellerate si è mostrato persino come contrario alla tradizione comunista che ha costruito e rafforzato le istituzioni repubblicane. Allora, non è un caso se al Quirinale c’è per la seconda volta Giorgio Napolitano: tocca a lui, quale ultimo comunista – come lo definisce Pasquale Chessa nel suo libro per Chiarelettere – rimettere l’Italia sulla giusta via conservando l’unità nazionale e la tradizione istituzionale.
Ieri, nell’ambito della stagione teatrale del parlamento è andata in onda la sceneggiata Lacrime Napolitano. Grande successo e grandi applausi, soltanto alcuni spettatori hanno mostrato di non gradire.