Alla violenza siamo abituati, purtroppo. Quasi non ci colpisce più. Sia nella vita reale, sia nella vita immaginaria dei racconti, delle fiction, della letteratura. Ma non tutta la violenza è uguale allo stesso modo. Prendete il caso dell’ultimo libro di Vito Faenza: L’isola dei fiori di cappero (Edizioni Spartaco).
E’ un romanzo liberamente ispirato a storie vere e le scene di violenza abbondano. Come quella delle prime pagine in cui la piccola Anna è in auto con il giovane camorrista, figlio del boss locale, e vuole lasciarlo perché ha capito chi è veramente il suo fidanzato ma Lui non lo permette: “…lo sguardo di Lui si fece feroce. Per istanti interminabili non disse nulla. Accelerò di colpo e continuò a guidare per chilometri a tutto gas. Fermò la corsa dell’auto all’improvviso, in una stradina di campagna. Si voltò verso di lei e le puntò una pistola contro la pancia: Ti ammazzo”. Oppure verso la fine del romanzo storico casertano quando il giovane boss esce di galera ed è assassinato ai piedi di Anna: “Anna, che lo aspettava a una certa distanza, dall’altra parte della strada, rimase impietrita. Vide i proiettili fracassare il cranio del marito, vide il sangue zampillare dalle ferite. Guardò inorridita uno dei due killer avvicinarsi a Lui ormai a terra. Gli puntò la pistola alla nuca e sparò un ultimo colpo. Il colpo di grazia”. Scena, quest’ultima, non diversa da quella che abbiamo visto qualche tempo fa in un video diffuso dai magistrati per recuperare informazioni sull’assassino che colpisce a morte, alla testa, la vittima ormai riversa sul marciapiede che viene scavalcata dai passanti che tirano dritto.
La violenza, che è la vera protagonista del romanzo di Faenza, è particolare e scandalosa perché riguarda una bambina di terza media. La scena più drammatica del romanzo è, infatti, quella in cui la famiglia del giovane camorrista va a casa di Anna per sistemare ufficialmente la cosa. Qui di violenza non c’è neanche l’ombra. Ma il sentimento in cui è immersa la situazione è la paura. La ragazzina vorrebbe ribellarsi, scappare, ma non sa come né può: “Non ci sono difese quando hai paura. Puoi pensare di resistere, ma solo quando la minaccia è lontana. Quando la vedi davanti a te è diverso, non tutti sono eroi. E il padre di Anna non lo era”.
La vicenda che racconta Vito Faenza è una storia d’amore criminale che finisce con l’amore autentico. Ma al di là del lieto fine e delle figure positive del romanzo – quella di Giovanni e dello stesso giornalista nel quale si può intravedere il lato autobiografico delle pagine – ciò che sembra dare senso alla storia è il male piuttosto che il bene. Il male organizzato della malavita camorristica casertana che mette le mani su una ragazzina strappandola ai giochi, alla scuola, agli amori, alle illusioni, alla sua vita per impossessarsene come si fa con la “roba” verghiana. Ne esce fuori il ritratto di una Terra di Lavoro violenta in cui proprio la Paura che si materializza a casa di Anna nel colloquio tra la sua indifesa famiglia e la forza minacciosa della famiglia del boss sembra essere il clima sociale in cui la vita si svolge. Quando la paura vince, lo Stato ha già perso. La paura è la parola di uso ordinario che sta per “stato di natura” in cui la vita è regolata secondo violenza.
Faenza è un cronista di nera e giudiziaria. Il romanzo, pur venato dal riscatto e dalla speranza, attinge alla realtà della cronaca in cui la violenza sale e scende anche le scale delle scuole. La violenza non è estranea – tutt’altro – al mondo giovanile. Il romanzo d’amore criminale casertano inizia proprio all’uscita di scuola. La difesa della scuola si presenta allora come la via necessaria per il contrasto della paura.
(tratto dal sito Il Casertano)
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Il libro di Vito Faenza L’isola dei fiori di cappero (Edizioni Spartaco) verrà presentato a Telese Terme venerdì 3 maggio alle ore 11.30 presso il Polo Tecnologico dell’Istituto d’Istruzione Superiore Telesi@ nell’ambito della Settimana della Legalità.