Giorgio Napolitano è un ex comunista ma molti ex comunisti lo chiamano quasi con disprezzo re Giorgio. A volte, pur non dicendolo apertamente, gli rimproverano di essere troppo ligio al dettato costituzionale, altre volte, ma dicendolo apertamente, gli rinfacciano di essere lontano dalla carta costituzionale. In realtà, il presidente Napolitano o, se volete, re Giorgio, altro non ha fatto e sta facendo che salvaguardare l’interesse nazionale e, in momenti critici e pericolosi come questi che viviamo, la stessa unità dello Stato nazionale. Anche quest’ultima “invenzione” – i dieci saggi – altro non è che un modo per provare ancora a far incontrare contrapposti interessi di partito nell’interesse nazionale per realizzare alcune riforme in campo istituzionale ed economico e poi ritornare a votare. Che altro potrebbe fare un capo dello Stato che non può sciogliere le Camere e non può contare su una maggioranza parlamentare né numerica né politica per dar vita ad un nuovo governo?
Oggi i partiti politici – il Pdl e il Pd – sono il frutto del loro stesso storico fallimento. Non sono capaci di mettere da parte temporaneamente i loro interessi particolari per fare spazio alle istituzioni e alla nazione e, quindi, unirsi. Ciò che è avvenuto, e in anni recenti, in alcuni paesi europei – primo fra tutti la Germania che siamo buoni solo a inutilmente criticare – non avviene da noi. Il peccato originale della storia repubblicana – la partitocrazia – segna tutta la politica e la vita istituzionale producendo un blocco delle istituzioni che passando dal Parlamento, al governo, alla magistratura si spinge ora fino a sfiorare il Quirinale. L’Italia con le sue deboli forze politiche e con le sue istituzioni bloccate sta dando all’Europa e al mondo uno spettacolo penoso con cui manifestiamo la nostra incapacità di governarci. Ma se non siamo capaci di governare noi stessi, come possiamo anche solo per un attimo pensare di presentarci in Europa per dire che la Germania non deve comandare ma deve obbedire e che bisogna abbandonare la strada del rigore per imboccare quella dell’allegria?
Se guardiamo alla realtà nella quale tutti (tutti) ci troviamo – e altro modo per capirci qualcosa non solo in politica non c’è se non guardare in faccia la realtà – ci renderemo conto che la “saggia scelta” di Napolitano non riguarda questa o quella invenzione o questa o quella intenzione, piuttosto mira a far risaltare sia ai disillusi occhi degli italiani sia agli increduli sguardi dell’Europa e del mondo che in Italia c’è ancora una continuità statale che è fonte di sicurezza e di operatività. Questo e non altro ha fatto Napolitano quando ha sottolineato che un governo è tuttora in carica dal momento che è dimissionario ma non è stato mai sfiduciato dal Parlamento, né dal vecchio né dal nuovo. Le forze politiche devono trovare il modo di far funzionare il Parlamento e non possono non farlo perché per tornare al voto hanno bisogno di un altro presidente della repubblica che sciolga le Camere. Dunque, l’iniziativa di Napolitano altro non è che un modo per provare a mettere su questa strada un Parlamento che le stesse forze politiche – il Pd in testa – rendono inutile proprio nel momento in cui non se ne può fare a meno. Il povero vecchio non poteva di certo immaginare che la sorte gli avrebbe riservato sul finire dei suoi giorni al Quirinale tanta amarezza e delusione. Sulla sua stessa pelle ha provato ciò che fino ad ora aveva appreso dalla storia: la possibilità della fine della continuità statuale italiana. La sua dignitosa e saggia risposta merita rispetto e – da parte mia senz’altro – anche ammirazione e gratitudine.