Caro Direttore, solo oggi ho avuto il tempo di leggere l’articolo di Nicola Sguera e mi permetto di inviarle alcune considerazioni. Anch’io come Nicola Sguera ho letto il libro di Revelli “Finale di Partito”.
Dalla “rappresentanza alla rappresentazione”; dal “parlamentarismo” alla “democrazia del pubblico”; dalla “democrazia di partito” “alla democrazia digitale”; dalla “torsione oligarchica” della democrazia di Michels alla “tentazione populista” di Rosenvall… fino alle primarie e alla “democrazia istantanea” di Grillo e Casaleggio.
Il libro delinea un lungo percorso di riflessione che motiva un punto di certezza fondamentale: “Come che sia, certo è, comunque che il controllo monopolistico dello spazio pubblico da parte del partito novecentesco è finito”.
In prospettiva il ruolo del “partito” è legato all’esito del processo di integrazione – contrapposizione tra i poteri mediatico ed economico ed i cosiddetti “movimenti”.
Revelli, mi pare, propenda per quella che potremo definire “la soluzione dal basso”: per un'”interlocuzione dinamica tra le forze di auto organizzazione della società, alimentata dai new media, e le forme sempre più leggere della rappresentanza”.
In tal senso i partiti si configurano come “strumenti leggeri, effimeri,” testimoni secondari” rispetto ai soggetti e ai luoghi “della vita” in cui si sperimentino e pratichino forme diverse di relazione e di socialità”.
Si può convenire o meno sulle conclusioni, ma certamente le stesse si inquadrano in uno scenario culturale e sociale “post-novecentesco”.
La “lettura” di Sguera, mi pare, invece, tutta dentro il perimetro novecentesco; con una riflessione sospesa tra un nostalgico ritorno al passato ed una fuga vitalistica nel presente, tra i Soviet e la rete, che sorprende non per “l’ingenuità” o la “dimensione onirica” ma, al contrario, per la rigidità e la carica ideologica.
Almeno questa è la mia interpretazione. Pronto a discuterne.