I giornalisti mi stanno sul cazzo. Sono un giornalista e io stesso mi sto sulle palle. Dunque, siamo al completo. Una volta, tornando dall’edicola carico della mia mazzetta di giornali – quando i quotidiani si potevano ancora comprare -, incontrai sotto casa don Gaetano che mi disse: “Sei andato a comprare un po’ di chiacchiere”. Gli sorrisi e mugugnai un “eh sì” come a dire “che cazzo capisci” e invece aveva ragione lui, il buon padre di famiglia, che valuta le cose serie e vere della vita in altro modo e non con la prosopopea dei gazzettieri. Un amico tedesco del secolo decimo nono ama ripetere che la lettura dei quotidiani è la preghiera laica dell’uomo moderno. Una volta, forse. Ma oggi tra la massima hegeliana e la battuta di don Gaetano mi pare più realistico pensare che in fondo si tratti di chiacchiere e nulla più.
I giornalisti somigliano a quel tale di cui il volgo racconta che amava pisciare e andare in carrozza. Un tempo i giornalisti più che essere praticanti praticavano la vita spericolata e le redazioni erano un porto di mare frequentato da un’umanità varia e ricca: c’era il grand’uomo e il fesso, l’inviato e il mezze maniche, il fattorino che sarebbe diventato direttore, il romanziere travestito da cronista, il dandy e il puttaniere. Oggi le redazioni dei giornali sono dei postacci in cui ci trovi stagisti e moralisti. Le vite dei grandi giornalisti del Novecento e del primo Novecento iniziano quasi tutte o dal caso o dalla necessità, dalla fortuna e dalla fame, non certo dai diritti e dalle scuole come si vorrebbe oggi. “Ma i giornalisti sono precari e sfruttati”. Certo. Ma con un ma: il giornalista è precario per definizione. Non si diventa giornalisti con l’insegnamento e l’ordine, ma con la gavetta e le scarpe consumate. Il giornalismo di oggi è cosa completamente diversa dal giornalismo del secolo scorso. La carta stampa non solo è finita nel web ma è anche finita. Sono sempre più i giornali che chiudono e sempre meno i giornali che vendono. Il giornalista che rimane senza carrozza deve reinventarsi: se ha imparato a pisciare bene potrà continuare a farlo con altri mezzi e veicoli oppure cambierà mestiere senza fare la morale al mondo ingiusto che i suoi motti giustamente non li ascolta.
Pierluigi Battista ha scritto su Twitter che dopo i politici e forse i banchieri proprio i giornalisti sono i più odiati. Beppe Grillo li ha mandati a quel paese più di una volta. E giù grida di scandalo perché i giornalisti sono sacri e non si possono toccare. Sono i cani da guardia della democrazia. Questa idea sacerdotale del giornalismo è veramente una schifezza. Se i giornalisti rompono i coglioni a tutti, ci sarà qualcuno che romperà i coglioni ai giornalisti. Bisogna metterlo nel conto. Come bisogna mettere nel conto che i giornalisti non sono gli unici a praticare il giornalismo. La esclusività del giornalismo è corporativa. I giornalisti criticano la Casta ma pensano se stessi come una casta. L’idea dell’ordine dei giornalisti prevale sul giornalismo ma il rinnovamento del giornalismo passa dall’unico posto per il quale è sempre passato: il disordine. La convinzione che il giornalista debba essere solo il giornalista è fuorviante e conduce alla sterilità del giornalismo. Il professionismo ha cercato di porre un rimedio alla sterilità attraverso la specializzazione: il giornalista politico, il giornalista economico, il giornalista sportivo. Dove è evidente che il valore non risiede nel sostantivo ma nell’aggettivo e dunque nel sostantivo che sottintende: la politica, l’economia, lo sport.
Montanelli più volte rifiutò di diventare senatore a vita. Lo volevano onorare ma fece sapere che non ne voleva sapere. Perché i giornalisti non sono politici? Altra sonora fesseria. Il giornalismo è un ramo della politica (l’altro ramo era un tempo addirittura la letteratura). Date uno sguardo alle cronache della Rivoluzione francese e vedrete che i deputati, i rivoluzionari, i girondini, i montagnardi erano quasi tutti giornalisti. Che il giornalista possa farsi politico non è un’eccezione ma quasi la norma. La figura del giornalista-deputato interpretata al meglio è una figura nobile. Se è diventata ignobile è perché i tempi cambiano. Montanelli non volle entrare in Senato perché sapeva che sarebbe “sceso” e non “salito”. Oscar Giannino da ottimo giornalista è stato il miglior politico della campagna elettorale ma è caduto con la storia scema del master e della laurea. Invece di mentire avrebbe dovuto dire: “Non sono laureato perché non avevo tempo per le sciocchezze”. E’ la realtà del mondo che cambia che distribuisce i valori delle cose, non le carte e le pergamene. Così è anche e soprattutto per il giornalismo e la politica che dovrebbero essere l’esatto contrario del “pezzo di carta”. Nel bene e nel male. Lo sapevano bene le famiglie napoletane borghesi di un tempo: quando il giovanotto non sapeva fare niente, si sceglieva tra due possibilità: “O gli facciamo fare la politica o il giornalista”. Oggi vale solo il primo caso.
E no, Caro Cristiano, Giannino non è caduto sulle due preunte lauree o sul master a Chicago, ma molto più prosaicamente sulla sua presunta partecipazione allo Zecchino d’oro. Ma che cavolo c’entra lo Zecchino d’oro con la politica o con la carriera parlamentare. Misteri del narcisimo!