Amerigo Ciervo, nel suo recente intervento su Sanniopress.it, ha citato Machiavelli (“gli è meglio fare et pentirsi, che non fare et pentirsi”) per sostenere la tesi della necessità di recarsi alle urne per non pentirsi poi della mancata partecipazione al voto.
A me, nel lontano 1996, è invece capitato l’esatto opposto. Lasciandomi convincere dall’appassionato appello che l’allora segretario dei Ds, Massimo D’Alema, fece al Maurizio Costanzo Show (“metteteci alla prova”), votai Ulivo e, soprattutto, alla Camera scelsi il candidato che era stato opposto a Clemente Mastella (non ricordo più nemmeno chi fosse…).
Dopo due anni, i duri e puri di Rifondazione Comunista fecero cadere il governo guidato da Romano Prodi che, pur non brillando, qualcosa di buono pure l’aveva fatto. E D’Alema si insediò a Palazzo Chigi con l’appoggio del transfuga Clemente Mastella, ossia la punta dell’iceberg di quel sistema di potere contro cui mi ero espresso nel seggio elettorale.
Come non pentirsi, quindi, per la scelta effettuata, anche perché quel cambio di schieramento fu propedeutico all’instaurarsi del sistema bassoliniano che in Campania (e in provincia di Benevento) altro non è stato che una sorta di berlusconismo di sinistra.
Tra l’altro, la storia politica della sinistra nel corso della Seconda Repubblica è stata per lo più contraddistinta da una parte dal tafazzismo della parte estrema (per questo rimasta senza rappresentanza in Parlamento) e dall’altra dalla realpolitik degli eredi del vecchio Pci, con il conseguente consociativismo mirabilmente sintetizzato da uno storico intervento di Violante in Parlamento (“L’onorevole Berlusconi sa per certo che in Parlamento gli è stato data garanzia piena che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta. Ci avete accusato di regime, nonostante non avessimo fatto il conflitto d’interessi e avessimo dichiarato eleggibile l’onorevole Berlusconi e il fatturato di Mediaset sia aumentato di 25 volte quando abbiamo governato”).
Ci sarebbe poi Vendola che, a prescindere dalla disinvolta gestione della sanità in Puglia, è in ogni caso il principale alleato del Pd. Per un elettore di sinistra resterebbe, quindi, l’opzione Rivoluzione Civile. Ma la scelta operata dal giudice Ingroia (a favore del quale mi sono espresso la scorsa estate aderendo alla raccolta di firme promossa da il Fatto Quotidiano) di sospendersi (senza dimettersi) dalla magistratura per candidarsi a premier, di per sé già discutibile, è diventata ancora meno credibile nel momento in cui i vari Di Pietro, Ferrero, Diliberto e Bonelli si sono rifiutati di fare il cosiddetto passo indietro.
Ragion per cui, come faccio ormai dal lontano 1996 (fatta eccezione per i referendum e per qualche consultazione amministrativa), mi terrò ancora una volta alla larga dalle urna, anche per non legittimare attraverso la partecipazione al voto un sistema elettorale che non consente nemmeno di scegliere chi mandare in Parlamento. Sistema che, va ricordato, nessun partito ha sostanzialmente voluto cambiare in questi anni, a dispetto delle dichiarazioni di facciata.
Ecco perché al voto inutile preferisco l’azione quotidiana, il rifiuto di certe pratiche, l’impegno civile attraverso il blog Sanniopress.it e le iniziative sul tema della legalità e della libertà di stampa (argomenti, ahimè, quasi del tutto assenti in questa campagna elettorale, pur essendo delle vere e proprie emergenze).
Come scrive Simone Perotti su il Fatto Quotidiano, “il voto, per me, per molti, è già da tempo l’azione. Vivere diversamente, tentare di essere diversamente… A queste quotidiane elezioni voterò, ogni giorno, agendo invece di delegare con una croce e una matita”.