“La separazione della realtà dall’idea è specialmente cara all’intelletto, che tiene i sogni delle sue astrazioni per alcunché di verace, ed è tutto gonfio del suo dover essere, che anche nel campo politico va predicando assai volentieri; quasi che il mondo aspettasse quei dettami per apprendere come deve essere ma non è; che, se poi fosse come deve essere, dove se ne andrebbe la saccenteria di quel dovere essere?”
Hegel, con il passo che ho preso dalla Enciclopedia delle scienze filosofiche (nella traduzione di Croce), Steven Spielberg, con il bellissimo Lincoln, e Machiavelli mi aiutano a risolvere il problema dei problemi di queste settimane. Votare per chi? Io sono iscritto ad ALBA. L’ho fatto perché, essendo un cittadino con valori e idee di sinistra, da un certo momento in poi non ho più condiviso la linea (ma – mi chiedo – di linea, ce n’è una e una sola?) del maggiore partito del centrosinistra italiano, ossia il PD. Ho sempre votato – dal 1976 al 1991 – per il PCI. Poi per il PDS e, infine, per il PD. Oggi – tra le cosiddette offerte del supermercato della politica – mi trovo nella necessità di doverne scegliere una. (Per inciso, lasciatemi dire che l’espressione “offerta politica” è proprio brutta e se la lingua, le parole sono la principale carta d’identità culturale di una comunità politica in un tempo dato, “offerta politica” rappresenta senza dubbi un’ulteriore manifestazione del complessivo degrado etico-culturale). Cosa scegliere, allora? Escludo a priori il non voto. Pur comprendendo codesta scelta, essa non mi appartiene. Il diritto al voto, per me, si configura come un vero e proprio “dovere al voto”. Dalla politica dipendono la nostra libertà e il nostro benessere pubblico sicché non pare proprio possibile prendere sottogamba tali finalità. Citando Boccaccio, Machiavelli, in una lettera a Francesco Vettori, scrive che “gli è meglio fare et pentirsi, che non fare et pentirsi”. Si parla d’amore e di donne, nella lettera, ma credo che la citazione vada bene lo stesso, anche per il nostro caso.
Non voterò per il movimento di Grillo. Riconosco al comico genovese (e vi prego di credermi: utilizzo la parola con il rispetto massimo che si deve a quella nobile vocazione. Chi mi conosce sa bene che, nel mio pantheon personale, Totò occupa una delle posizioni più elevate) di aver dato voce a gruppi e gruppi di cittadini arrabbiati e stufi della politica. Ma l’Italia va governata. Il nostro è uno dei paesi più importanti d’Europa, con l’economia che si ritrova, con la sua tradizione culturale e – citando la bella lettera aperta di Salvatore Settis sull’Espresso di qualche settimana fa al futuro capo del governo – con il patrimonio artistico che ci è dato da gestire, attende di essere governato. Con funzioni e con ruoli che, per quanto mi riguarda, sono, e devono restare, ben distinti.
Non voterò per il PD per una serie di ragioni ma soprattutto perché, nella sua fenomenologia a noi più prossima, rappresenta tutto l’opposto di quello che io ho imparato da giovane, militando nel PCI, e che sintetizzerei in un quadro in cui, da una parte, in città, si scorgono piccoli o grandi gruppi consolidati di potere “inutile”, per citare Desiderio, e, dall’altra, nei paesi, cacicchi che non pensano ad altro che a coltivare il proprio orticello. Tutto, a me pare, senza valori e senza principi. Sono amico di molti democratici. Riconosco loro di essere onesti e integerrimi cittadini. La segretaria regionale dei giovani democratici, Antonella Pepe, è stata mia alunna al liceo: è seria, preparata, brillante. Ma – rebus sic stantibus – mi domando cosa altro potrà fare, al di là di una, pur necessaria, testimonianza che un’altra politica è possibile?
Non voterò per Rivoluzione Civile che è il risultato di un vero e proprio colpo di mano, ai danni di un progetto di rinnovamento politico, ALBA, in cui ancora mi riconosco e che prevedeva (e prevede) certamente tempi non brevissimi, da parte di un gruppo di politici (Ferrero, Diliberto, Di Pietro, Bonelli) le cui antiche scelte non stimai e che continuo a non stimare neppure oggi. Una “rivoluzione civile” con vecchi politici di professione? Mi ricorda la domanda che Nennillo rivolge al padre, a Luca Cupiello: Il presepe una cosa religiosa? Una cosa religiosa con l’enteroclisma dietro?
Resta SEL, che non mi entusiasma. Tuttavia Niki Vendola non si è limitato alle narrazioni, ma si è assunto la responsabilità del governo di una regione importante del Sud che, a quanto si dice, è stata ben governata. Anche le vicende locali di quel partito non mi sembrano il massimo. Ogni giorno qualcuno lascia. Non so bene quali siano le motivazioni. Riesco ad immaginarle. E tuttavia, poiché la legge elettorale è quella che è, ritengo che, allo stato, sia necessario che:
1) non vinca il centrodestra populista e impresentabile;
2) non ci si ritrovi di fronte al pericolo di una ingovernabilità diffusa,
3) vinca il centrosinistra con, all’interno, una forte componente di sinistra, in grado di far naufragare, in prima battuta, tutte le tentazioni di alleanza con il centro montiano e, in seconda battuta, qualora fosse necessario un governo di coalizione, far sentire forti e chiare la presenza e la voce di una sinistra in grado di opporsi e di bloccare le scelte politiche di stampo neoliberista.
So bene che non è il massimo. So bene che occorrerà turarsi il naso. Ma non parlerò di voto utile, né di voto intelligente. Ogni voto è utile, in democrazia. E vorrei sperare che tutti i voti siano la conseguenza di una scelta intelligente. Al massimo di voto disgiunto. Mi piacerebbe chiudere, però, riportando un breve dialogo, tratto dal film di Spielberg, tra il presidente Lincoln, il suo segretario di stato e un paio di individui del sottobosco politico che ruotano intorno al Congresso degli Stati Uniti che si sta preparando a votare il XIII emendamento, quello che abolirà la schiavitù. Il film è una straordinaria lezione di filosofia politica, oltre che di storia. Andrebbe visto da tutti, in modo speciale da quelli che si trovano ad avere delle responsabilità politiche.
Lincoln: – “Questi voti devono essere trovati.” Individuo: – “Gli onorevoli costano poco. Con duemila verdoni cercate ciò che vi serve…” Segretario di stato: “Ma non possiamo comprare il voto.” Lincoln: -“Vedi cosa puoi fare … Questa guerra non finirà se non ci liberiamo dalla schiavitù e questa è la cura”.
Gli USA si trovavano davanti a una scelta storica. Nessun paragone con le nostre vicende. Eppure questo Lincoln che sembra ispirarsi a un librettino, guarda caso, uscito a Firenze cinquecento anni fa, nel 1513, mi ha fatto molto pensare e decidere in tal senso. Ben consapevole che la lotta politica seria inizierà tra otto giorni.
Caro Amerigo, la tua condanna del non fare si riferisce certamente, con Machiavelli, a chi non va votare poiché non si interessa di nulla riguardo al funzionamento della cosa pubblica e, soprattutto, non compie nessun atto di scelta e di intervento a livello sociale che rappresenta la vera scelta e discriminante dell’agire politico. Libertà è partecipazione, ha detto qualcuno nel passato. Ma partecipazione a che? A mettere un segno sulla scheda elettorale una volta ogni 5 anni, o invece a interessarsi con partecipazione ed interesse ai problemi reali della società? Io non voto da 35 anni, tranne qualche referendum di tanto in tanto. Non me ne faccio un vanto, lo dico solo per ribadire che, in tutta coscienza, non mi posso imputare nessuna colpa nella deriva partitocratica e carrieristica che ha soggiogato anche la sinistra. Dico questo perché nella tua analisi sono assenti gli esempi più alti di forma democratica e di partecipazione con cui si sono confrontati i cittadini in questi ultimi anni. Mi riferisco in particolare al Movimento NO-TAV, a quelli per la difesa del territorio, dell’acqua pubblica, del no al nucleare ecc. Per quanto riguarda la tua sofferta scelta del voto al posto del non voto, aggiungo che, con Lenin, c’è un’ alternativa possibile. Il riconoscere che sono proprio queste istanze di base che sono il vero sale della democrazia. In sostanza si tratta solo di riconoscerle e valorizzarle, non combatterle o depotenziarle. Può sembrare anche una soluzione semplicistica, ma nel 1917 la parola d’ordine ” Tutto il potere ai Soviet ” diede il via ad una grande rivoluzione. Ed io sono un rivoluzionario.