Poveri noi. Comunque vada, sarà una fregatura. I candidati sanniti non sono all’altezza della situazione. Com’è la situazione? Drammatica. Come sono i candidati? Commedianti. Tecnicamente commedianti: recitano secondo il solito canovaccio della mediazione politica in un tempo e in un luogo dove non c’è più niente da mediare. Quante ne ho lette di cazzate. La migliore è la solita cantilena sull’occupazione e il lavoro per i giovani. Possibile che i giovani abbiano davvero l’anello al naso e stiano lì a fare la danza della pioggia e della campagna elettorale nella speranza dell’occupazione promessa? Se è così meritano il peggio. Ma credo che la meglio gioventù abbia capito da tempo che i santi in paradiso sono fasulli e la politica non è un’opportunità ma un handicap. Bisogna far da sé, secondo il vecchio e dignitosissimo detto.
I candidati, da qualunque parte vengano, hanno l’ossessione del pubblico e dello Stato. Non perché siano uomini (e donne) di Stato ma perché la falsa religione del pubblico è l’unico indottrinamento a cui si sono abbeverati e, soprattutto, perché il pubblico e lo Stato offrono la possibilità di gestire potere. Peccato che il problema italiano – italiano, non meridionale o sannita, anzi, qui è italiano al quadrato – si configuri come opposto: meno Stato, meno pubblico, più iniziativa, più autonomia, indipendenza, più libertà. Solo riducendo lo spazio occupato dallo Stato si potrà finalmente avere in Italia anche qualcosa di effettivamente “pubblico”, altrimenti con lo statalismo si avrà solo la privatizzazione partitica del pubblico (come accade con i rimborsi elettorali, il finanziamento dei partiti e dei gruppi parlamentari e regionali). I sostenitori dello Stato sempre e comunque e della falsa religione del pubblico vogliono più Stato per gestire più potere, non certo per l’autorità, l’autorevolezza, la funzione.
Fin qui la politica si è opposta alla revisione della spesa. Ma la revisione della spesa è già un ripiego. Il serio e drammatico problema italiano non è la revisione della spesa, ma il taglio dello Stato: nell’industria, nella sanità, nella scuola. Tutte cose che solo apparentemente sono gratuite, in realtà sono pagate, e in modo salato, dalle tasse. Dalle tasse del ceto medio e medio-basso. Non è meglio lasciare i soldi in tasca ai contribuenti con la possibilità di scegliere cosa fare e dove farlo? Non c’è nessun politico o candidato, con o senza primarie, che vi dirà di seguire questa strada. Ciò che diranno sarà al massimo di abbassare la tasse, ma senza tagliare lo Stato, il che è impossibile. Il risultato sarà quello che già conoscete: niente tagli allo Stato, niente calo delle tasse e doppio pedaggio per persone, famiglie e aziende che non avendo il servizio che serve loro dovranno andare a cercarselo altrove pagando ciò che hanno già pagato nell’illusione d’averlo gratuito. Insomma, si paga due , tre volte ciò che è giusto avere pagando una sola volta e scegliendo. Il taglio dello Stato è oggi in Italia un problema di giustizia sociale (tanto per usare un’espressione ipocrita che mi fa venire l’orticaria).
Morale: la politica non è una risorsa ma un problema in più. Antipolitica? Ma per carità. Anche l’antipolitica predica la religione del pubblico a tutti i costi vostri. L’antipolitica è speculare alla politica: più ci sputa sopra e più la riproduce. In peggio. Peggio del populismo che abbiamo a destra e dello statalismo che abbiamo a sinistra. Dunque, il centro? I democristiani? O mio Dio. Il convento è questo. Ve l’ho detto che comunque vada sarà una fregatura. Fate come volete, ma salvatevi almeno l’anima (e il culo). Guardate in faccia la realtà senza paura e pensate i problemi fino in fondo. Non nutrire speranze in programmi di salvezza e in candidati super è un atto di dignità che, in fondo, ognuno coltiva nella solitudine della sera. Fatelo alla luce del sole e sarete, almeno voi, migliori.