Avellino è degna di essere il capoluogo della Provincia dell’Irpinia sì o no? Benevento è degna di essere il capoluogo della Provincia del Sannio sì o no? Voglio prima raccontare una storia. Anzi, due.
Ci sono cose che voi umani non immaginate o non ricordate più. Sul finire del secolo scorso, quando Aldo Moro non c’era più e il Pci era ancora tra noi ma era già moribondo – un po’ come oggi, tutto sommato -, c’è stato un tempo in cui il “clan degli avellinesi” governava l’Italia e Napoli era solo la spiaggia di Avellino sul mar Tirreno. L’Avellino giocava in serie A, Juary festeggiava i suoi gol girando intorno alla bandierina del calcio d’angolo come in un ballo ancestrale, il derby dei lupi non si disputava con i cinghiali sanniti discendenti di Calidone ma con il ciuccio partenopeo e Ciriaco De Mita era talmente potente che non solo era segretario (della Dc) e presidente (del Consiglio) ma anche, secondo Gianni Agnelli che certo non voleva elogiarlo, un “intellettuale della Magna Grecia” (mentre diversa fu la definizione di Idro Montanelli).
Il vero epicentro della Campania, secondo la regola localistica del partitismo repubblicano ereditato senza stravolgimenti dal fascismo, era Nusco di cui la stessa Avellino era una dependance. Benevento, a quel tempo, era un villaggio sannita affidato ai prefetti del pretorio della Democrazia cristiana che, per citare don Lisander, erano forti con i deboli beneventani mentre erano deboli con il forte clan degli avellinesi. La Benevento dell’impero democristiano a guida irpina aveva in Nusco e in Avellino dei modelli che cercò di imitare con Ceppaloni e Benevento. Il giovane Clemente Mastella studiò a Nusco, importò la politica sanitaria, organizzò sindaci, consigli comunali, provinciali, d’amministrazione e configurò una corte di Ceppaloni sul modello della corte di Nusco. Quando arrivò, non prevista dai Maya, la fine del mondo della Prima repubblica, Ceppaloni prese il posto di Nusco, il clan degli avellinesi tramontò, Juarì aveva da tempo smesso di segnare. Mastella, ormai non più giovanissimo, tirava giù e tirava su governi e i presidenti del Consiglio, di passaggio a Telese, non disdegnavano un tuffo nella piscina di Ceppaloni. Fu così che Massimo D’Alema, capo del governo, tra una bomba e l’altra sul Kosovo e una mozzarella di bufala cilentana, poté dire ai Mastella: “Il Sannio è una piccola Svizzera”.
Avellino e Benevento credono di essere più di quel che sono. Ma la loro storia politica è solo un capitolo della “democrazia cristiana”. La rivendicazione del capoluogo è la nostalgia di una centralità partitica che non ritornerà più. Può darsi che Benevento, sulla scorta delle decisioni del governo, sarà capoluogo: il riconoscimento, però, non decreta la vittoria di Benevento su Avellino – e meno che mai di Ceppaloni su Nusco – ma l’inizio di una nuova epoca in cui Sannio e Irpinia hanno la possibilità, se ne saranno capaci, di mettere a frutto le proprie risorse territoriali. E’ su questo “terreno” che bisognerebbe muoversi nel difendere le ragioni di Benevento capoluogo. Ragioni che non dovrebbero essere estranee alla stessa Avellino che con intelligenza e lungimiranza dovrebbe mettere sul piatto la sua maggior valenza economica e d’impresa. Purtroppo, però, un po’ tutti sono legati ancora ai falsi miti di Nusco e Ceppaloni. Persino i giornali sono ancora così divisi da risultare immobili e paurosi nel fare una scelta: Ottopagine è un quotidiano avellinese sbarcato a Benevento con un direttore che è un ex compagno di squadra di Juary e un proprietario avellinese, Oreste Vigorito, che è presidente della squadra giallorossa; Il Mattino ha una redazione avellinese e una beneventana con il paradosso che in una città dice una cosa e in un’altra un’altra; Il Sannio ha fin dal nome una carta vincente da giocare ma il suo direttore-stampatore gioca con le carte segnate dello scopone e fa battaglie di retroguardia come quella del Molisannio. C’è una storia diversa e forse migliore da raccontare, rappresentare e vivere ma tutti, comunque tanti, troppi sono ancora alla ricerca del capoluogo perduto tra Nusco e Ceppaloni.