(Sanniopress) – La bocciatura decretata ieri dal consiglio provinciale di Benevento dell’ipotesi di referendum per il passaggio al Molise merita alcune riflessioni.
Innanzituttto, va evidenziata la massiccia dose di realpolitik con cui il Consiglio ha affrontato lo spinoso snodo, a partire dal presidente Cimitile. Ad Avellino, dove in molti attendevano un clamoroso assist, sono rimasti ovviamente delusi.
Di Molisannio, quindi, non se ne parla più: il messaggio proveniente dalla Rocca è chiaro. Del resto, come sottolineiamo da circa un anno, si tratta di un’ipotesi anacronistica rispetto a quella di creare una macroregione delle aree interne dell’Appennino meridionale che coincida grosso modo con l’antico Sannio e comprenda, dunque, Benevento, Avellino, Campobasso, Isernia, Foggia e l’Alto Casertano.
Forse non è il caso di parlare di Regione Sannio perché noi “beneventani” abbiamo usurpato il termine sannita che, invece, storicamente comprende un territorio più vasto. Ma, al di là del nome, pare questa l’ipotesi più in linea anche con la tendenza a ridurre le rappresentanze territoriali. Ai molisani, che ora guardano con fastidioso distacco all’ipotesi Molisannio, potrebbe del resto capitare di perdere la loro regione in conseguenza di un possibile accorpamento con l’Abruzzo (che tanto piace, ad esempio, al molisano Di Pietro).
Per quanto riguarda, invece, la rivolta in atto ad Avellino va detto che si tratta di una protesta legittima in quanto è paradossale che una provincia che non sparisce perda, invece, il capoluogo a favore di un’altra provincia cancellata. Ma si tratta di un paradosso che è diretta conseguenza proprio di quella logica dei numeri che ha portato alla cancellazione della provincia di Benevento.
Un paradosso, insomma, che nasce dalla mancata cancellazione di tutte le province.
Ma l’Italia è il Paese dei paradossi e il governo Monti rappresenta oggi quello maggiore: un governo di tecnici che ha impiegato un anno per risolvere un guaio, quello dei esodati, che gli stessi “tecnici” avevano creato. Un governo che annuncia periodicamente provvedimenti che, dopo estenuanti trattative con i partiti di maggioranza, vengono poi puntualmente svuotati (vedi la legge anti-corruzione o i provvedimenti anti-casta).
E al paradosso non potevano, infine, sfuggire anche le province di Avellino e Benevento dove il sindaco della città che perde il capoluogo si è dimesso proprio nel momento in cui la città si trovava ad affrontare la battaglia più difficile (per candidarsi al Parlamento) e il presidente della Provincia soppressa resta l’unico che caparbiamente non si arrende all’idea della cancellazione del Sannio (non essendo, tra l’altro, nemmeno sannita ma partenopeo).
Ma il paradosso più importante è, comunque, rappresentato dal fatto che proprio in conseguenza delle alchimie del governo Monti oggi per la prima volta ci troviamo di fronte alla reale possibilità di creare quella Regione Sannio (o, comunque, altro la si voglia chiamare) che è sempre parsa una chimera. Un’occasione storica, tra l’altro, anche per uscire dalla logica del Napolicentrismo che, dunque, non può esser svilita con misere contrapposizioni da curva calcistica.