(Sanniopress) – «Il capoluogo della nuova provincia irpino-sannita? Forse è meglio che si lascino le cose così come stanno. La giunta e la presidenza ad Avellino. Il consiglio lo si divida a metà: la parte avellinese ad Avellino e quella beneventana a Benevento. Lasciamo le cose inalterate come sono ora e il titolo di capoluogo, proprio come se fosse, quale in sostanza è, un pezzo di carta o un diploma diamolo a Montefusco che così potrà dire, pur non avendo uffici, giunta, consiglio e tutte le inutilità di pari grado, che Avellino e Benevento sono provincia di Montefusco».
Se la provincia irpina accorpa quella sannita e, nel contempo, Benevento si prende il capoluogo è una questione che non appassiona più di tanto Giancristiano Desiderio, giornalista e scrittore, beneventano di Sant’Agata dei Goti. Anzi, Desiderio la risolve con l’ironia quasi indolente che gli è propria. «No, la questione non mi prende. Mi limito a ricordare che si parla di questa vicenda da quando la soppressione delle province entrò nel primo decreto “Salva Italia” elaborato dal defunto governo Berlusconi. Un anno fa, la stessa giunta regionale non si mostrò contraria a questa prospettiva considerandola per entrambi i territori un’occasione di rilancio. Non capisco perché abbia fatto marcia indietro».
Eppure ad Avellino l’hanno presa malissimo. Si sono radunati in duemila per protestare contro il presunto scippo del capoluogo.
«Quello che ho visto ad Avellino mi sembra una manifestazione di partitismo ammantato da campanilismo. C’è forse il timore a livello istituzionale di perdere qualche poltrona sulla quale sedersi. Non so se quel corteo sia stato effettivamente spontaneo o indotto».
Probabilmente conservare il capoluogo rappresenta ancora una forma di identità nella quale riconoscersi.
«Oggi il simbolo della provincia non c’è più nemmeno sulle targhe automobilistiche. A parti invertire, io non ne avrei fatto un dramma anche perché l’ente intermedio come la provincia non ha più motivo di esistere. Per due ragioni: prima perché il vero nucleo dello Stato è il Comune; seconda perché le province sono superate dall’istituzione delle Regioni, che avrebbero funzioni d’indirizzo politico e invece amministrano».
Detta così sembra facile, ma nel corteo di Avellino sono spuntati persino striscioni che recitavano: «Non moriremo sanniti».
«Non vorrei deludere gli amici di Avellino: non solo moriranno sanniti, ma sanniti lo sono da sempre perché, anticamente, gli irpini erano una delle quattro tribù sannite. Il Sannio è una regione molto vasta, che spazia dall’Abruzzo fino a Foggia. Storicamente, in più occasioni si è cercato di ricostruire questa area vasta che avesse Benevento come capoluogo. Il tentativo ci fu con l’unificazione dell’Italia nel 1861, quando si passò dalla Stato liberale al regime fascista, poi ancora quando subentrò la Repubblica. Le dico una cosa: il palazzo della prefettura è un edificio enorme perché sarebbe dovuto servire ad ospitare la giunta regionale del Sannio».
Quindi come inquadrerebbe adesso la questione?
«Se ci fosse una vera classe dirigente cercherebbe di spiegare alla gente che l’unione di due territori ricchi di storia e di tradizione come il Sannio e l’Irpinia è un’opportunità concreta, non una sciagura. Ognuno porta in dote qualcosa per la crescita comune. Spesso i politici locali lamentano strumentalmente di essere schiacciati dal napolicentrismo. A parte che non vedo su quale altra città debba orbitare la regione, se non intorno a Napoli, questa sarebbe un’opportunità per rispondere proprio a chi indica nel napolicentrismo una causa di mancato sviluppo delle aree interne. Nel momento in cui ci si dovrebbe provare a partorire qualcosa di più grande e duraturo che possa essere un’occasione di sviluppo e di crescita, ecco che avellinesi e beneventani affogano nel lavandino di casa».
Quindi Montefusco capoluogo?
«Sì è a metà strada e nessuno si offende…».
(tratto da “La Discussione”)