(Sanniopress) – Chi è che, al comune di Benevento, pensa e fa la politica culturale? Sono trascorsi solo un paio di mesi dalla aspra polemica che, per via di una manifestazione artistica e commerciale organizzata a Piazza Roma, ci fu tra due assessori: De Luca, responsabile del commercio, e Del Vecchio, responsabile della cultura. Quest’ultimo disse la storica frase: “Benevento non è Scalea”. Intendeva dire, se interpreto bene, che Benevento deve mirare a organizzare cose di qualità e deve avere l’ambizione di ospitare nomi importanti del mondo dell’arte e della cultura, piuttosto che puntare su cose – per dirla con una formula resa celebre sia da Gramsci sia da Pippo Baudo – nazional-popolari. All’epoca della polemica proposi un incontro pubblico tra i due litiganti, cioè i due assessori della medesima giunta che rappresentavano due anime diverse ed opposte – elitaria quella di Del Vecchio, popolare quella di De Luca – che inutilmente il sindaco Pepe cerca di tenere insieme nello stesso corpo della sua giunta. Se quell’incontro si fosse fatto, ora, forse, non saremmo punto e daccapo.
Perché – mi direte – è in corso una nuova polemica tra i due assessori? No. Nessuna polemica. Ma proprio questo è il punto fin troppo evidente: il silenzio assordante di Raffaele Del Vecchio sulla Notte delle streghe. L’assessore alla cultura non è il padre della notte bianca beneventana. La manifestazione è da iscriversi all’ala nazional-popolare della giunta di Pepe, di cui il primo interprete è appunto Nik De Luca. L’assessore alla cultura, per gli amici Raf, non promuove l’iniziativa, semmai la subisce. Il principale oppositore e critico è invece Nazzareno Orlando che, in verità, ha mosso, sia pure con un astio che dovrebbe risparmiarsi, delle osservazioni e dei giudizi critici condivisibili che hanno ricevuto sì delle risposte, ma molto parziali. Soprattutto, non hanno ricevuto alcuna risposta da Del Vecchio che non ritiene di dover rispondere alcun che per il semplice motivo che non è il padre delle streghe né si sente coinvolto emotivamente o idealmente nell’impresa. Resta dunque aperta la questione: chi è che, al Comune di Benevento, pensa e fa la politica culturale?
Non è una domanda di poco conto: né per il contenuto, tantomeno per il modo in cui la pongo. Tutto voglio promuovere, tranne che un’ennesima e sterile polemica sull’argomento. Invece, voglio evidenziare un fatto che è sotto nasi e occhi di tutti e, forse, proprio per l’eccessiva vicinanza si fa fatica a scorgere. Benevento vorrebbe avere, e magari ha anche le carte in regola per aspirare a tanto, una politica culturale di alto livello nel tentativo di scegliersi i suoi turisti e avviare così un flusso di turismo elitario, cioè consapevole, che porta sia soldi sia altra cultura. La realtà è diversa: prevale la linea nazional-popolare che, in fondo, è in linea con le notti di mastelliana memoria e tutto sommato anche con i desiderata dei commercianti. Se fosse una scelta consapevole si potrebbe anche giustificare e chiarire meglio e magari anche condividere. Si ha l’impressione, invece, che ciò che accade sia il frutto del caso, se non dell’improvvisazione e questa napoletana arte di arrangiarsi va a detrimento anche delle altre attività culturali – ad esempio il culto mariano di Città Spettacolo – che somigliano a quelle chiese prive di campanile o, peggio, a quelle chiese scompagnate dal loro campanile e ne hanno uno tanto per averlo. Insomma, un guazzabuglio.