di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – Ciò che colpisce del giudizio di Moody’s sui titoli di Stato di casa nostra è la verità: siamo passati da A3 a Baa2, insomma, siamo stati declassati, giudicati non molto affidabili perché con l’avvicinarsi del momento del voto della prossima primavera aumentano i rischi politici. Detto in due parole: la politica è poco affidabile e così sono poco affidabili i titoli di Stato italiani. Ma perché questa verità ce la dobbiamo sentir dire da un’agenzia internazionale di rating e non da un partito politico nazionale? In questa differenza c’è gran parte della inaffidabilità italiana.
I partiti politici o ciò che ne rimane hanno un pessimo rapporto con quella cosa chiamata “verità”. Non è il caso di intavolare discussioni filosofiche ma, come si usa dire, stiamo ai fatti. Nella crisi del debito sovrano ci siamo trovati quasi da un giorno all’altro, dopo che per settimane, mesi e anni era stata sistematicamente negata. Alla fine Berlusconi dovette passare la mano e per evitare il commissariamento dell’Italia fu votato il governo Monti. La situazione che ha reso necessario il governo Monti con la “strana maggioranza” è passata? Neanche per idea. Miglioramenti, certo, ci sono stati ma è indubitabile che il problema sia ancora lì, bello, anzi brutto e grosso: la vendita dei titoli di Stato. È un dato di fatto – la verità – che il clima politico e la campagna elettorale ormai imminente non rendano facili come una passeggiata le aste del Tesoro. Tra la politica e la collocazione sul mercato dei Buoni del Tesoro c’è un rapporto diretto: la politica non rende credibile il Paese e i titoli di Stato non sono giudicati un buon affare. La situazione è questa, piaccia o no. I partiti politici ( e anche i sindacati) possono anche decidere di non vedere ciò che è visibile a noi e al mondo intero, ma sta di fatto che sia lo spirito nazionale sia la loro ragion sociale di parte dicono loro il contrario: ci si salva e si diventa credibili solo sulla base della veridicità. Il resto è bancarotta. Moody’s, dunque, pur con una tempistica ambigua, svolge un compito di supplenza: se in Italia nessuno dice la verità, qualcuno all’estero ce la ricorda. Per l’Italia, non c’è dubbio, è una sconfitta o, peggio, una mortificazione. Tuttavia, se qualcuno avesse conservato la virtù di saper ascoltare, potrebbe essere un male che non viene per nuocere. Insomma, Paese avvisato mezzo salvato. E non ci si faccia distrarre dall’uso dei detti popolari, perché, in fondo, il problema italiano è proprio questo qui segnalato: meno spesa, meno casta, più credibilità, più solvibilità. Se la politica non cambia in se stessa, non sarà il suo ritorno a raddrizzare le cose: il caso italiano strozzato nelle finanze e da una crisi di fiducia continuerà ad esistere. In peggio.
Allora? Si cambi per davvero. La svolta – tanto per usare una parola che va di moda perché usata a sproposito – riguarda prima di tutto il “linguaggio”: chiarezza e non confusione, doveri e non diritti, fatti e non promesse, risultati e non aspettative, buon esempio e non privilegi. In gioco non c’è la vittoria della destra o della sinistra, il ritorno di Berlusconi o di Prodi; in gioco c’è il destino di una grande democrazia che se non finanzierà il suo debito sarà commissariata. Moody’s ha declassato il valore dei nostri titoli, sta alla classe politica dimostrare di saper valorizzare il nome stesso dell’Italia. Se non lo sapranno fare, ci saremo meritati la retrocessione.
(tratto da Liberal)