(Sanniopress) – L’inconsolabile pianto greco degli amministratori locali sull’abolizione o accorpamento della Provincia versa lacrime da coccodrillo. Se le province d’Italia avessero conservato la loro ragione sociale e avessero assolto esclusivamente e bene i loro compiti stradali e scolastici non ci sarebbe stato alcuna necessità di sopprimerle. Invece, l’ente provincia confidando nella distrazione generale ha moltiplicato funzioni, scopi, privilegi, prebende, clientelismi e così ora è giunto il rasoio di Ockam a tagliare gli enti che non sono necessari. Alcune province sono state soppresse mentre altre resteranno in piedi. Ma per quanto tempo? Non alla lunga – vedrete – salteranno anche le superstiti. Dalla classe politica locale avremmo voluto ascoltare queste parole: “Via tutte le province”. Macché. Solo lacrime e solo furbizie per cercare di salvare capre e cavoli: accorpiamo qui, accorpiamo lì, aggiungiamo questi paesi. Tutte minutaglie che ci mostrano come la classe politica sannita che grida “salviamo il Sannio” campa sul cavallo che non ha erba da mangiare perché se l’è pappata tutta la casta locale.
Ci fosse stato uno – uno, non dieci – che avesse detto: “Il momento è drammatico ed è giusto che il Sannio faccia la sua parte rinunciando alla Provincia di Benevento che ha alle spalle una storia bella e significativa ma che ora è un ente dispendioso e privo di scopo”. Niente. Nessuno è in grado di andare al di là del pianerottolo di casa e i pensieri della politica sannita si muovono nel perimetro del lavabo e affogano nella tinozza. Nella ottica clientelare e localistica si possono chiedere sacrifici alle famiglie, ai commercianti, alle aziende, a chi si dà da fare da mane a sera ma non si devono mai toccare i veri gioielli di famiglia che sono gli enti, gli uffici, la burocrazia, gli assessorati, i consigli di amministrazione, le società partecipate che si chiamano così perché vi partecipano solo loro, i trombati, i tesserati di partito e gli amici degli amici. Sotto la sterilità e l’improduttività di questo mondo immaginario e pur realissimo e pesante come montagne di elefanti – tante altre cose vanno tagliate, non solo le Province – muoiono le speranze dell’Italia e di quelle giovani generazioni per le quali i tromboni di turno raccontano storie e amene oscenità.
Il politico meridionale confonde volutamente Stato e burocrazia. Dello Stato non sa cosa farsene, della burocrazia sa benissimo cosa farsene. La fine della Provincia si porterà via un po’ di questo mondo e sarà una buona cosa. Non ci si venga a dire che l’assenza della politica provinciale sarà un duro colpo per l’agricoltura, per le imprese, per il commercio, per la cultura. L’agricoltura è morta da un pezzo, le imprese si contano sulle dita delle mani, il commercio se la cava da sé, la cultura è come dare le perle ai porci. La fine della Provincia non è una perdita ma un’occasione.
C’è poi un equivoco. Dicono: “Salviamo il Sannio”. La provincia non è il Sannio e se il Sannio esiste deve avere la capacità di dimostrarlo. La fine della Provincia è un’occasione per l’autogoverno comunale. E’ il Comune il cuore delle nostre contrade. Facciamolo funzionare misurando tasse e servizi, chiedendo risultati e non piaceri, valutando i consuntivi e non le promesse. Chi non funziona, chi non sa amministrare, chi crede che il pubblico ufficio sia un affare privato deve essere rispedito a casa. Con la fine della Provincia non pochi andranno a casa, mentre altri pensano di fare il salto da Benevento a Roma. Se ne vedranno delle belle.
Ps: il mio pensiero gentile va al presidente Cimitile che non è beneventano e forse per questo avverte la fine della Provincia quasi come una colpa personale. Naturalmente, non è così. Si è battuto per la difesa della sua amministrazione perché gli competeva e ha fatto un buon lavoro per i 150 anni dell’Italia e della Provincia, ma proprio il ricorso storico sembra sancire la fine di un’epoca e l’avvio di un nuovo tempo.