(Sanniopress) – Frequentavo la seconda media e un giovanissimo Paolo Petti arrivò, da Airola a Moiano, per una supplenza di educazione artistica. Ero assolutamente negato per il disegno e per le altre tecniche pittoriche per cui, tanto per dirne una, i miei pasticciati tentativi di disegno geometrico assomigliavano piuttosto a composizioni astratte con improbabili “nuances” prodotte da cancellazioni che finivano per aggredire e, spesso, sfondare il pur solido foglio da disegno. Tutto questo, alla docente titolare, provocava – credo – ripetuti conati di vomito. Eppure, quando mise piede in aula, lì nel vecchio palazzo comunale, il giovanissimo insegnante, noi, alunni giovanissimi della “scuola media unica”, da alcuni mesi introdotta dal governo di centrosinistra, percepimmo che ci trovavamo di fronte a un personaggio davvero speciale. Che capovolse tutte le metodologie. Sicché della mediocre titolare di cattedra, oggi, scompaiono, dai miei ricordi, sia la faccia che il nome.
Poi ci si ritrovò un decennio dopo. Paolo, nel frattempo, aveva nuovamente ripercorso il nostro bellissimo viale: questa volta per sposare la sua Igina. Ora eravamo noi a fare il percorso inverso: da Moiano s’andò ad Airola per costruire l’ARCI e fiancheggiare il PCI. Eravamo cresciuti. Mi stavo per laureare in filosofia, Paolo era già uno scenografo affermato. Aveva soprattutto pensato le scene per quel “Don Chisciotte” interpretato da un poco più che ventenne Gigi Proietti e diretto da Carlo Quartucci. Di sera, davanti al televisore in bianco e nero, ci si ritrovava in tanti per vedere il programma “fatto da Paolo Petti”. Non ci si capiva molto, credo, ma grande era l’orgoglio di leggere, tra i titoli, un nome non ignoto. Ma anche di “vedere”, di sfuggita, sul teleschermo, la figura familiare di Paolo: alto un po’ dinoccolato, con i suoi immancabili baffi. Quartucci sperimentava nuovi linguaggi, sicché la “struttura” del racconto già s’allontanava – e di molto – dai drammoni in cappa e spada che rubavano totalmente i cuori e le menti delle nostre cugine più anziane. Allora Paolo fu l’anima, e anche il corpo, della festa dell’Unità di Airola di quel 1975 spingendo e guidando una masnada di ventenni – di Airola, di Moiano, di Luzzano – a vivere un’esperienza unica. Ancora Quartucci – con Carla Tatò – e l’esperienza di “Camion” a rappresentare Robinson Crusoe secondo i crismi dell’avanguardia teatrale italiana nella piazza di Airola dove – fino a quel momento – non s’erano ascoltati che complessi bandistici. Di livello, certo. Ma con lo sguardo saldamente rivolto verso l’Ottocento. In quelle due sere imparammo che ci potevano essere mille altri linguaggi per comunicare le nostre emozioni e le nostre passioni, politiche o private che fossero. E Marcello, in quell’occasione, abbandonò la batteria, prendendosi in carico – con i musicisti di Camion – un tamburello. Gli sarebbe servito ancora, alcuni mesi dopo.
E oggi che Paolo ci lascia, sentiamo il dovere di gridare, con voce alta e forte, che molto gli si deve. Molto gli deve Airola. E molto gli deve la provincia beneventana. Petti, con la sua creatività e la sua arte, con le sue idee e con il suo fare, ha contribuito non poco a far entrare aria nuova nell’asfittica cultura sannita, contribuendo non poco a sprovincializzarla tramite connessioni con culture, ambienti, personaggi vivaci e dinamici.
E, proprio perché sappiamo bene quanto la gratitudine sia ormai una moneta sempre più fuori corso, dico che gli dobbiamo molto anche noi, come gruppo iMusicalia. E non solo per la bellissima copertina del nostro 33 giri o per quella del nostro sito. Ma perché fu lui a portarci da Riccardo Tortora per “La scena di Napoli” (1980). Da quel lavoro, successivamente scaturì l’ingaggio per “La caduta degli angeli ribelli” di Marco Tullio Giordana.
Dunque, grazie di tutto, Paolo. Noi non ti dimenticheremo. Lo diciamo anche a Igina, a Luigi e a Gabriella a cui siamo vicini in questo momento tristissimo. Ma lo diciamo soprattutto a noi stessi assumendo l’impegno di contribuire, per quanto sia possibile, a mantenere viva la tua grande, straordinaria eredità.