(Sanniopress) – Le nazionali non sono le nazioni, anche se ogni nazionale si porta dietro il “carattere” della nazione. Nei confronti della nazione vale – almeno fino a quando non è in gioco il destino dell’umanità – il motto inglese che più o meno dice così: il mio paese è il mio paese, che abbia ragione o torto. E dunque va difeso. Per le nazionali no. C’è libertà di scelta e siccome il calcio è la quintessenza del pluralismo, si può tifare per una nazionale diversa dalla propria nazione. Detto questo, farò il tifo per la nazionale italiana il giorno in cui dopo le prime due partite sarà a punteggio pieno e non sarà impelagata come sempre nell’eterna questione che consiste in questo: “Ci qualifichiamo se vinciamo e se contemporaneamente gli altri perdono oppure se la differenza reti è così o colì” e roba del genere. Avete voi memoria di una qualificazione italiana che non sia frutto di questi calcoli e mezzucci?
Quest’anno poi è il non plus ultra. Dicono: ma è tutto vano perché ci sarà il biscotto. Vale a dire: anche se vinceremo non servirà a nulla perché Spagna e Croazia si metteranno d’accordo e pareggeranno 2 a 2 e così si qualificheranno entrambe. Ma tu guarda un po’ che cose strane che accadono: una nazionale che è il frutto di campionati di corrotti e corruttori, scommettitori, truffatori – insomma, imbroglioni – sarà vittima di una pastetta. Ma questa, se ci sarà, non sarà una combine. No. Questa è giustizia divina. Nemesi calcistica e storica e etica. Ma non è finita qui.
Nel 2004 fu la stessa storia. Sulla panchina italiana non c’era Prandelli ma Trapattoni. Le prime due partite furono due striminziti pareggi: nessun gol con la Danimarca e uno con la Svezia. La vittoria tardiva con la Bulgaria per 2 a 1 fu inutile perché Svezia e Danimarca pareggiarono 2 a 2 e passarono il turno. Oggi la storia si ripete ma il Trap è sulla panchina dell’Irlanda e dice: “Ci batteremo fino in fondo”. E farà bene. Anche se dalle parti italiane si pensa e si dice tutt’altro. Cosa? Beh, che Giovannino Trapattoni dovrebbe chiudere un occhio e farci passare alla grande, anche con un bel po’ di gol che fanno comodo per la differenza reti. Insomma, mentre ci lamentiamo del biscotto altrui e lo condanniamo, ne prepariamo o invochiamo un altro in nome di un amor di patria che non solo è del tutto fuori luogo ma anche indecente perché disonorevole. Una nazionale seria e sportiva scende in campo per vincere giocando, dà il meglio di sé e poi accada quel che accada. La nazionale italiana pensa ai biscotti.
La nazionale italiana è nelle condizioni di subire il biscotto altrui solo e soltanto per colpa sua. La sua idea di fondo non è quella di giocare la partita ma di fregare gli avversari. Non prevale mai il gioco ma sempre la furbizia. La legge del calcio è semplice: bisogna fare un gol in più degli avversari. Gli italiani la capovolgono e ritengono che bisogna prenderne uno in meno. Per la nazionale azzurra il gol non è un miraggio ma un optional: se ne può fare addirittura a meno. Tanto che il nostro calcio teorizza e pratica la scomparsa del centravanti. La filosofia di gioco è questa e dura da secoli, più o meno dal 1500: “Arrangiamoci, questi son fessi, noi ne sappiamo più di loro e li fregheremo”. La nazionale rispecchia i molti vizi e le poche virtù della nazione. Ma il peggio del peggio lo danno insieme il giornalismo (sportivo) e i tifosi: le critiche arrivano sempre il giorno dopo, mai il giorno prima. Sembra che per la nazionale valga lo stesso principio che si applica al presidente della repubblica: non si critica mai. Ma quando arriva la disfatta si scatena la critica del giorno dopo, si fanno processi sommari e si scatena la caccia al colpevole. E’ proprio vero: siamo il paese di piazzale Loreto, perfino nel calcio.