(Sanniopress) – All’indomani del terremoto di San Giuliano, circa dieci anni fa, scrissi un istant-book (tuttora scaricabile gratuitamente in formato pdf) per ripercorrere la storia della riedificazione di Cerreto Sannita, cittadina del Beneventano che fu completamente distrutta dal terrificante sisma del 6 giugno 1688. Una ricostruzione effettuata in tempi rapidissimi: circa otto anni. E puntando, per quanto possibile all’epoca, sulla prevenzione.
Al di là della disputa sui criteri adottati per la ricostruzione (antisismici o, più in generale, di cultura della protezione civile) dalla vicenda emerge un dato importante: i cerretesi ricostruirono il paese in un’area ritenuta geologicamente più stabile; poggiarono, ove possibile, i muri portanti delle abitazioni su massi di pietra, strati calcarei e calcarenitici; limitarono l’altezza degli edifici; dislocarono tre grosse piazze alle estremità e al centro del paese in modo da poterle utilizzare come possibile luogo di raccolta in caso di terremoto.
Il geologo Mario Tozzi ricorda spesso questo modello di ricostruzione post-sisimica: una puntata del programma televisivo “Gaia, il pianeta che vive” (Rai Tre), un intervento alla trasmissione “Porta a porta” (Rai Uno) all’indomani del terremoto di San Giuliano di Puglia e una testimonianza radiofonica l’altro giorno alla trasmissione “Il ruggito del coniglio” (Rai Radio Due).
I cerretesi, infatti, capirono nel 1688 che l’unico modo per contrastare gli effetti del sisma era quello di rendere più sicure le case. Quanto è rimasto di quella lezione nei secoli successivi?
Grazie Billy, grazie perchè mi dai una ulteriore possibilità di riflettere che il terremoto non uccide.
I lampi uccidono, le eruzioni uccidono, le alluvioni e le frane uccidono ma il terremoto no, esso non uccide.
A fare vittime è il fattore umano dove troppo spesso accanto ad un palazzo crollato e con vittime vediamo palazzi che sono rimasti in piedi.
Ti saluto Billy e sono certo tu condivida questa mia riflessione
Buon lavoro e buona giornata