di Gaetano Cappelli
Quindici anni fa, nel 1994, nonostante il titolo del mio Volare basso, decisi di partecipare allo Strega il più importante premio letterario d’Italia. Il romanzo era pieno di scene di sesso rovente eppure fu pubblicato da Frassinelli, un editore “puro” come si dice di quegli editori che pubblicano solo libri e quindi privo di quotidiani, settimanali, televisioni, case di produzione cinematografiche e per di più non romano, di conseguenza assolutamente inadatto a “spostare voti” nella normale graziosa pratica di scambio per cui tu fai una cortesia a me io do il mio voto a te. Meccanismo già allora notoriamente imperante allo Strega come, va detto, nella maggioranza dei premi nazionali e non. Così io ero assolutamente certo che non avrei vinto. Mi piazzerò comunque con onore, pensai.
Quindi scrissi, come tutti, perfino il Pasolini, le mie belle letterine ai pochi che conoscevo tra gliAmici della domenica come si chiamano così i giurati del Premio – che conoscevo. Il mio editore “puro” sollecitò pure lui il voto ai suoi pochi amici, ma spedì ben quattrocentotrenta copie in lettura ai rimanenti votanti. E con un bottino di nove voti “sicuri” mi preparai all’agone.
Ricordo ancora la sera dello scrutinio della cinquina.
Sulla terrazza di casa Bellonci, spirava la brezza d’inizio estate e mi sentii inoltre carezzare dall’ala lieve della gloria mentre, tra un prosecco e l’altro, raccoglievo gli elogi di queste signore dal trucco pesante, le pettinature ad alveare, gli abiti mai smessi dalla Dolce vita in poi – sei il più bravo, il più moderno di tutti: mi sussurravano – e dei membri giurati loro compagni e altrettanto vegliardi – sei il più originale di tutti sentenziavano.
Finì che mi presi esattamente i miei nove voti “sicuri”, né uno in più né uno in meno, e una delle più grandi mortificazioni mentre i nomi di tutti i nomi degli altri candidati, tranne il mio, continuavano ad echeggiare amplificati tra i nobili palazzi dei Parioli. L’ho detto ero a conoscenza del meccanismo che regolava lo Strega ma non immaginavo si trattasse di un meccanismo tanto perfetto da rasentare la perversione. Uscii da casa Bellonci con una promessa: mai più nella vita!
Invece eccomi di nuovo lì quest’anno.
Mi avevano assicurato: è tutto cambiato, vedrai. Così Cesare De Michelis della Marsilio, nel frattempo il mio editore, lui sì è cambiato ma è pur sempre un editore “puro” nonostante il mio romanzo sia, come tutti i miei romanzi, pieno di scene di sesso rovente, invia al Premio Strega ben seicentocinquanta copie agratis – alcune finiscono nelle scuole: ma chi, avendo dato almeno una scorsa al mio La vedova il santo e il segreto del Pacchero estremo lo avrebbe dato da leggere a dei minorenni? Io vado in giro per una serie di incontri col pubblico, segno del mutamento in atto, finchè qualche giorno fa, intorno alle otto della sera sono di nuovo in via Ruspoli 2.
Il primo che incontro, sotto al portone, è Fulvio Abbate. Devo dire è molto affettuoso. Mi abbraccia e mi fa: ehi, non ci si incontra da anni! Dico essì. Penso: ma se ci siamo visti solo una volta. Mi guardo intorno. Si sfoggia una certa eleganza. Alice, la deliziosa figlia di Cesrina Vighy, sfoggia un abitino delizioso. Scurati ha indosso la sua solita scura tenuta oltre al solito sguardo accigliato – non per niente egli è un autore impegnato. Finalmente arriva il mio editore con al fianco una sua recente scoperta. Ci appropinquiamo all’ascensore. Un cartello ammonisce non più di quattro per volta. In coda ci sono un paio di signore imbalsamate. Una, pare, mi sorrida. Magari si ricorda di me quindici anni fa, pens. No, è solo il rictus che precede la prossima dipartita. In fondo vedo apparire la sagoma dark di Paolo Repetti, Stile libero. Gli anni passano ma lui è sempre vestito in total black: ué è sempre colui che ha lanciato il noir all’italiana. Arriva il nostro turno. Saliamo io, Cesare la sua scoperta e una delle imbalsamate con rictus. Nell’ingresso vedo il grande Walter Pedullà – è molto alto e mi ha premiato, del tutto spontaneamente per Parenti lontani, alla Valle dei Trulli – sì, si chiama così sto premio – in un momento per me molto difficile e gliene sarò grato per sempre. Lo saluto ma non so se mi riconosce. Questa è la regola: salutare tutti quelli che ti avvicinano facendo finta di. Filippo la Porta lui no, lui lo evito. Dopo che me lo sono scarrozzato dappertutto a Potenza facendogli assaporare, per pura cortesia, le gioie della cucina locale poi nemmeno mi ha citato nella rencensione di un libro di racconti di aavv in cui ha citato perfino il gatto di casa. Ma stranamemnte è lui a venirmi vicino. Mi chiede addirittura il numero di telefono. Vuole inserirmi in un suo libro di interviste. Io, che non so conservare rancore, glielo do perfino. Mi faccio largo verso i beveraggi.
In queste occasioni è assolutamente necessario avere un bicchiere in mano. Scherzo e rido con tutti. Editori, giornalisti, scrittori. Ce ne sono varie tribù. I romani nelle loro mise bohèmienne. La colonia di napoletani a Roma anche più che bohèmienne: proprio sciatti. Appare Sgarbi, arpionato alla fortunata di turno: una giovane dallo sguardo perso e persa del tutto a giudicare dalla compagnia. Bevilacqua senza le leggendarie radiografie che certificavano un suo male incurabile che gli valsero, a suo tempo, il favoloso Premio come caso umano. L’arbiter elegantiarum Angelo Bucarelli di ritorno da Venezia dove espone le sue fantastiche sculture. Paola Pitagora che rapì il mio cuore e quello di mio cugino Carlino di Lontrone. Eccosì, sul più bello, inizia lo spoglio.
La voce pallida del vincitore dell’anno scorso, come da tradizione, scandisce i nomi. Io continuo a scherzare con il mio amico Andrea Vitali ma non è come prima: un velo di tensione è calato sulla terrazza. Scurati è sempre più oscurato. Scarpa, mano a mano, diventa invece più rifulgente, pieno di luce e meno Anomino Veneziano. Alice, la figlia di Cristina Vighy, più deliziosa. Il sinistroMassimo Lugli, cronista di nera, pubblicato dal romanissimo e ricchissimo Newton Compton, più carismatico tipo quegli scrittori americani che prima del successo facevano i becchini.
Com’ è finita?
Dopo quindici anni sono arrivato sulla terrazza di casa Bellonci con in tasca quindici voti “sicuri” e, a fine votazione, me ne sono tornato tristemente a casa con esattamente quindici voti e la fondamentale domanda: ma possibile che il mio libro non sia piaciuto a nessuno dei quattrocento amici della domenica? Possibile che tra quattrocento critici, giornalisti, registi, scrittori nessuno mi abbia dato il suo voto a prescindere dai giochi di scuderia? Eppure come ha scritto Schopenhauer – sì, dev’essere stato proprio lui – ha scritto: qualsiasi libro pubblicato, anche il più atroce, troverà qualcuno disposto a giurare che si tratti di un capolavoro. Questo dappertutto tranne che allo Strega. Tra le anime morte, o molto prossime alla morte, così ardentemente spero, dello Strega.